martedì 2 aprile 2013


Beato Giovanni Paolo II, il tempo e l’eternità, la fede e il Concilio

Qualche mese fa, un giornalista sportivo spagnolo, per commentare il gesto calcistico di uno dei tre migliori giocatori al mondo, ricorse alla lezione di un autore latino, Seneca,  secondo il quale nello spazio di un secondo  si può cogliere lo spazio dell’eternità: il tempo, cioè, rimane sospeso in una dimensione che trascende le categorie spazio-temporali.
Le 21.37 del 2 Aprile 2005 segnano un tempo precisamente circoscritto dentro  parametri cronologici, ma pure li oltrepassano, proiettando l’evento in una realtà senza tempo, pertanto infinita ed eterna.
2 Aprile 2013: quando noi devoti del Beato Giovanni Paolo II ci fermeremo un secondo, un solo misero e insignificante secondo allo scoccare delle 21.37, sperimenteremo ciò che insegnava il grande pensatore latino: “ convertiremo l’istante nell’eternità”. Ciò è possibile perché Giovanni Paolo II vive nell’eternità, vive nello sguardo di Dio, mentre la sua morte, l’ora della sua morte ( 21.37) rimarrà scolpita indelebilmente nel nostro cuore, nonostante gli anni e la cronaca che travolgono tutto e tutti.
 Beato Giovanni Paolo II con un bambino malato
Quest’anno desideriamo ricordare Giovanni Paolo II proponendo alcune sue riflessioni inerenti alla fede, riflessioni che egli, da Cardinale, volle condividere con il suo popolo impegnato nel Sinodo Diocesano da  lui stesso istituito per  far conoscere, comprendere e approfondire gli esiti del Concilio Vaticano II ( iniziativa eccezionale se si pensa alle condizioni in cui operava la Chiesa in Polonia!!). Al Sinodo parteciparono tutte le componenti della società, soprattutto  laici e donne. Per aiutare i lavori e, in particolare, la diffusione dell’insegnamento della Grande Assise conciliare, il Card. Wojtyla offrì un contributo preziosissimo con il volume “ Alle fonti del rinnovamento, studio sull'attuazione del Concilio Vaticano II”.
Il card. Wojtyla, già nel I capitolo, chiariva il punto fondamentale, imprescindibile scaturito dal Concilio: la fede, il suo arricchimento che, scriveva “ non è nient’altro che la partecipazione sempre più piena alla verità divina”. Egli, così, rimarcava  la vera essenza della Chiesa, la sua autentica autorealizzazione, al di là di interpretazioni ermeneutiche offerte negli anni successivi, soprattutto in Occidente.
Con estrema lucidità, il futuro Papa chiariva in modo inequivocabile quale fosse l’orizzonte  a cui guardavano i Padri Conciliari: non l’oggetto della Fede, le sue Verità fondamentali, cioè“ in che cosa bisogna credere”, bensì l’essere cristiani, il suo significato e le sue implicazioni, “ che cosa vuol dire essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa”. Affermando questo, egli era consapevole che la questione riguardasse, prima di tutto, l’uomo e la sua fede, o, meglio, la fede radicata nella coscienza dell’uomo: solo questo radicamento avrebbe potuto determinare l’atteggiamento, lo stile di vita, la cultura.   
La fede, lungi dall’essere una astrattezza o pura dottrina, è l’essenza stessa dell’uomo inserito nella “ realtà soprannaturale” che, come scriveva  Karol Wojtyla, seguendo l’insegnamento conciliare,“ si modella e si sviluppa come frutto di un incontro, all'inizio del quale sta la rivelazione di sé da parte di Dio”. L’uomo, nella sua libertà, dono supremo del Suo Creatore, può rispondere a tale incontro, con tutto il suo “ dinamismo personale”che consiste nello  abbandono a Dio: “ questa è la vera dimensione della fede in cui non si tratta solamente di accettare un determinato contenuto, ma di accettare la stessa vocazione e il senso dell’esistenza” (cfr. Alle fonti del rinnovamento, pag.16).
Il Beato Giovanni Paolo II, padre del Concilio,uomo  la cui esistenza è stata una incessante preghiera in uno slancio d’amore contemplativo, ha incarnato in modo sublime l’essenza stessa dell’insegnamento conciliare: le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti, persino il suo registro stilistico, ma soprattutto il suo coraggio, la sua libertà sono il riflesso di quanto scriveva per il suo popolo all'indomani della chiusura dell’importante Assise.
Ecco  perché le 21.37, un istante per le lancette degli orologi umani, si sono “ convertite nell'eternità”!!