domenica 26 agosto 2012


Czestochowa 2

Il Santuario di Jasna Gora: il cuore pulsante di un popolo

Che cosa significa per un Polacco il Santuario di Jasna Gora? Che valore ha?
Jasna Gora, Pellegrinaggio amicibrescianiGPII
Innanzitutto è bene precisare che, a differenza di altri Santuari, quello di Czestochowa  non è sorto a seguito di un’apparizione mariana. In realtà il Santuario sorge laddove, già a partire dal XIV secolo, era stato edificato il Monastero dei Paolini a cui venne affidata l’Icona della Madonna, per altro risultato di un restauro fallito.
Nonostante i pericolosi attacchi subiti da parte di popoli aggressori, il Monastero respinse sempre gli invasori: per i Polacchi ciò è sempre stato il segno evidente della protezione di Maria, della Sua Presenza al fianco e in difesa di un popolo. Per capire meglio, affidiamoci alle parole del Beato Giovanni Paolo II 
L’allora Card. Wojtyla, così disse il 26 Agosto1977:” Maria attendeva nel suo quadro il momento della prova tremenda, per far vedere che veramente era destinata alla difesa del nostro popolo. Quando né il re né il comandante in campo sono stati in grado di difendere la Nazione, lo fece Lei attraverso gli uomini che avevano il suo spirito e che le sono stati dati come collaboratori…Questo quadro ci ha unito quando volevano cancellare dalla carta dell’Europa il nome della Polonia”… Nel libro, “Alzatevi, andiamo” molti anni dopo, scriverà: “ Per i Polacchi, Czestochowa è un luogo particolare. In un certo senso, si identifica con la Polonia e con la storia delle lotte per l’indipendenza nazionale…Tutti sapevano che la sorgente della luce di speranza era la presenza di Maria nella sua miracolosa effigie. Così fu, forse per la prima volta, durante l’invasione degli svedesi…In tale circostanza il santuario divenne una fortezza che l’invasione non riuscì a conquistare. La nazione lesse allora quell’evento come una promessa di vittoria. E la fiducia nella protezione di Maria diede ai polacchi la forza per sconfiggere l’invasione. Da allora il santuario di Jasna Gora è diventato, in un certo senso, il baluardo della fede, dello spirito, della cultura, insomma di tutto ciò che decide dell’identità nazionale”[Alzatevi, andiamo, pag. 43] Non a caso, i Polacchi, in tutti i momenti bui della loro storia, anche recente, si sono riuniti a Jasna Gora, certi di non essere soli e di poter confidare nella Madre, la “ Regina della Polonia”, come loro amano chiamare la Madonna.
Anche quando i Tedeschi invasori circondarono con il loro esercito il Santuario, una delegazione di giovani universitari, tra cui Karol Wojtyla,  non rinunciò all’annuale pellegrinaggio e si  recò segretamente a Czestochowa in quell’ora tragica della loro Nazione.
Jasna Gora, altare da cui ha celebrato
 il beato Giovanni Paolo II
Durante il regime comunista, il popolo pregò “ con ancora più fervore” davanti alla cornice vuota, dopo che le autorità nel Novembre 1966 avevano sequestrato l’effige della Madonna che, per iniziativa dell’Episcopato, doveva essere portata in pellegrinaggio nelle Parrocchie del Paese.
Il Popolo Polacco non ha mai cessato di rivolgere il suo sguardo a Maria, di confidare in Lei, nel Suo Amore di Madre. E’ stato così in passato e lo è in questo giorno perché, come disse il Papa, “Bisogna prestare l’orecchio a questo luogo santo per sentire come batte il cuore della Nazione nel cuore della Madre. Questo cuore, infatti, pulsa come sappiamo, con tutti gli appuntamenti della storia, con tutte le vicende della vita nazionale: quante volte, infatti, esso ha vibrato con i lamenti delle sofferenze storiche della Polonia, ma anche con le grida di gioia e di vittoria! Si può scrivere la storia della Polonia in diversi modi: specialmente quella degli ultimi secoli, si può interpretarla in chiave diversa. Tuttavia se vogliamo sapere come interpreta questa storia il cuore dei Polacchi, bisogna venire qui, bisogna porgere l’orecchio a questo Santuario, bisogna percepire l’eco della vita dell’intera nazione nel cuore della sua Madre e Regina! E se questo cuore batte con tono di inquietudine, se risuonano in esso la sollecitudine e il grido per la conversione e per il rafforzamento delle coscienze, bisogna accogliere questo invito. Esso nasce dall’amore materno, che a suo modo forma i processi storici sulla terra polacca.”[ Czestochowa - Jasna Gora, 4 giugno 1979]
Czestochowa 1


Un’esperienza indimenticabile!!


Czestochowa, Madonna di Jasna Gora 
[ Pellegrinaggio amicibrescianiGPII, 26 Agosto 2010]
Quando il 26 agosto del 2010, in un sera d’estate piuttosto piovosa, siamo giunti a Czestochowa, avevamo ancora negli occhi e nella mente, ma soprattutto nel cuore,le struggenti e devastanti immagini di morte, testimonianza lacerante dell’annientamento totale dell’uomo da parte di un altro uomo. Ad Auschwitz, solo poche ore prima, le fredde pietre degli edifici, il filo spinato che circonda il campo di sterminio, quella quantità impressionante di capelli tagliati, di borse, occhialli…per non parlare degli abitini e delle scarpine dei bambini o della “macchina infernale” dei forni crematori, tutto questo si stagliava davanti a noi come prova viva dell’abisso del male, del Mysterium iniquitatis che, in un certo senso, solo Auschwitz può rendere  tangibile.
Czestochowa, Madonna di Jasna Gora 
[ Pellegrinaggio amicibrescianiGPII, 26 Agosto 2010]
Quella sera del 26 agosto, come scritto in un disegno insondabile, veniva offerta a noi la possibilità di visitare un luogo di grazia, di contemplare non un’immagine  morte, ma l’ Icona di luce, di fede, di speranza, segno vivo di un Abisso di Bene promesso all’umanità “qui ed ora”. Nello scorgere le mura del Santuario e il campanile della Chiesa, fummo assaliti da una profonda commozione e da una immensa gratitudine a Dio: mai avremmo immaginato di poter pregare nel Santuario della Madonna di Jasna Gora ( Chiaro Monte, “Monte della Luce”) proprio nel giorno della sua festa. Erano ormai le ore 22.00 ca.,  ma, nonostante la stanchezza, ci recammo subito in Chiesa, dove trovammo ancora numerosi pellegrini che, inginocchiati sul ruvido pavimento, pregavano volgendo lo sguardo al quadro della Madonna collocato all’interno di una angusta cappella: uomini, donne, bambini, anziani e giovani con lo scapolare, percorrevano in ginocchio il perimetro che conduceva innanzi alla Sacra Effige. Parte di loro si sarebbero si sarebbero soffermati in preghiera per tutta la notte. Già tutto ciò aveva in sé qualcosa di straordinario, ma colpì moltissimo l’atteggiamento di tutti costoro, giovani compresi: era evidente che non erano lì per obbedire a qualcuno, per espletare un precetto liturgico o per rispettare una tradizione popolare. No, in loro vi era il desiderio profondo ed urgente di  entrare in dialogo con la Madre, proprio come faceva il loro “padre”.Gli sguardi protesi verso di Lei dicevano proprio questo, parlavano di un legame personale che ognuno intratteneva con la  “ Regina”, con quella Madre che sempre ha protetto e proteggerà i suoi “ figli”. Non si può spiegare diversamente l’immediatezza di una preghiera che nasceva direttamente dal cuore dei “figli”, una preghiera semplice e profonda, spontanea eppure vertiginosa per intensità spirituale. Uno scambio di sguardi tra ognuno di loro e Lei: questo accadeva davanti ai nostri occhi, stanchi, ma finalmente lieti.
Entrammo in Chiesa e ci inginocchiammo: i nostri occhi subito hanno cercato il quadro della Madonna; un brivido ci corse lungo il corpo, segno di un’emozione e di una commozione indescrivibili, quando il nostro sguardo si posò sull’immagine della Madonna Nera, tanto cara al popolo polacco e così decisiva per la loro storia. In quel momento, attratti dal volto così umano e così trascendente della Madre e dalla tenerezza divina del Figlio, ci siamo sentiti abbracciati da un vortice che non è esagerato definire misterioso. Vivevamo in una dimensione nuova, non facilmente esprimibile a parole: improvvisamente e misteriosamente, percepivano naturale rivolgerci a Lei, “ dialogare” con Lei, confidare a Lei i nostri turbamenti, le nostre preoccupazioni, le nostre aspirazioni. Era bello  contemplarLa. Una letizia pervadeva il nostro cuore; sembrava quasi che i nostri problemi, le nostre delusioni, le nostre ansie assumessero un valore nuovo: avevamo meno paura!! .Allora capimmo il senso di quel “ Non abbiate paura” pronunciato con vigore molti anni prima; capimmo quale ne fosse la forza e l’origine.
Maria e il Figlio erano  “ vestiti a festa”: indossavano entrambi le due corone che il Papa volle donare loro prima di morire, perché l’ultimo pensiero doveva essere rivolto a Colei che, per tutta la vita, lo aveva accompagnato e protetto e che presto lo avrebbe presentato al Padre.  Il pensiero di un figlio è sempre rivolto alla Madre, soprattutto nel momento più alto dell’esistenza!!
I nostri occhi si sono imbattuti poi in una in un pezzo di stoffa che presentava una macchia di sangue. La fascia indossata dal Papa il 13 Maggio 1981 è accanto a Maria come segno di una figliolanza che ha raggiunto il suo vertice nell’ora più tragica e dolorosa. I Polacchi che giungono da ogni parte del Paese, spesso a piedi, possono così incontrarsi con Maria, rivolgersi a Lei, pregare Lei perché li conduca a Dio, ma possono anche, contemporaneamente, far memoria del padre che li ha guidati su questa terra e continua a intercedere per loro dal Cielo. Una Grazia immensa e, in un certo senso unica, per un popolo che ha tanto sofferto nel corso della sua storia!!

venerdì 17 agosto 2012


17 Agosto 2002 – 17 Agosto 2012: un messaggio profetico, vero inizio della Nuova Evangelizzazione

Credo fermamente che questo nuovo tempio rimarrà per sempre un luogo dove le persone si presenteranno davanti a Dio in Spirito e verità. Verranno con la fiducia che assiste quanti umilmente aprono il cuore all’azione misericordiosa di Dio, a quell’amore che anche il più grande peccato non può sconfiggere. Qui, nel fuoco dell’amore divino, i cuori arderanno bramando la conversione, e chiunque cerca la speranza troverà sollievo”. Come disse il Papa Giovanni Paolo II, “anche se il tempo e tutto il mondo possono considerarsi il suo "tempio", tuttavia ci sono tempi e luoghi che Dio sceglie, affinché in essi gli uomini sperimentino in modo speciale la sua presenza e la sua grazia. E la gente, spinta dal senso della fede, viene in questi luoghi, sicura di porsi veramente davanti a Dio presente in essi”.
A dieci anni dalla consacrazione del santuario dedicato allo Divina Misericordia, le parole del Papa Beato Giovanni Paolo II non hanno certo perso la loro forza profetica; non solo, oggi appaiono in tutta la loro carica di ragionevolezza e intelligenza.
Cracovia, Santuario della Divina Misericordia
Di fronte ad un mondo confuso dopo l’attentato dell’ 11 Settembre, di fronte ad un’umanità sull’orlo di un nuovo abisso non privo di atroci incognite, di fronte ai calcoli, ai ragionamenti e alle accademiche argomentazioni dei potenti e di  parte dell’intellighenzia mondiale, anche cattolica, il Papa compì un gesto che poteva sembrare obsoleto, inutile, arcaico: a poche settimana dall'incontro con centinaia di migliaia di giovani in Canada, Paese tra i più progrediti e industrializzati, prima, in Messico, beatifica un piccolo indio, Juan Diego, poi, in Polonia, dopo aver consacrato il Santuario, affida il mondo intero alla Divina Misericordia. In tal modo il Papa ha voluto consegnare tutti noi, l’umanità tutta all'Amore di Dio che oltrepassa i nostri errori, i nostri limiti, la nostra bassezza. Affidarsi all'Amore misericordioso, significa essere certi che Lui non abbandona la sua creatura, neppure quando è da lei è tradito e vilipeso. Lo ricordò il Papa che, nel corso dell’omelia, disse: “Con gli occhi dell’anima desideriamo fissare gli occhi di Gesù misericordioso per trovare nella profondità di questo sguardo il riflesso della sua vita, nonché la luce della grazia che già tante volte abbiamo ricevuto, e che Dio ci riserva per tutti i giorni e per l’ultimo giorno”. Potevano sembrare parole “ fuori tempo massimo” per un mondo diviso e dilaniato da conflitti pronti a tramutarsi in “ guerre di religioni”, le più devastanti e incomprensibili. Ma il Papa, un uomo inerme, con la sola forza della sua fede, neppure della sua sapienza, “vedeva” quanto il mondo avesse bisogna della Misericordia di Dio al punto da dichiarare: “In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione della misericordia” . Egli, davanti al dominio dell’odio e della sete di vendetta, davanti al grido di dolore e di morte provocato dai “ signori della guerra”, non proponeva soluzioni, programmi o“ ricette” di qualsiasi genere, fossero anche magisteriali: semplicemente chiamava l’umanità a riconoscere l’Amore di un Dio che, con la sua Passione e morte, ha liberato l’uomo donandogli la Vera Speranza. Prendere coscienza di questo, accettare di essere amati di un amore infinito e gratuito, non può non provocare una risposta così potente da trasformare l’agire dell’uomo chiamato a realizzare il bene e la giustizia su questa terra. In un certo senso, volgere lo sguardo alla Croce di Cristo, come insegnava Santa Faustina,  cambia il modo di vedere, pensare, agire, relazionarsi con gli altri, trasforma la vita, anche quella apparentemente più negletta. Giovanni Paolo II, non a caso, affidò il mondo alla Divina Misericordia dalla terra testimone e vittima, sì, dell’abisso del male, di quel mysterium iniquitatis, di cui parlava spesso il Grande Pontefice,  ma anche dell’abisso del bene incarnato nella santità di S. Faustina e  di S. Massimiliano Kolbe.
Cracovia, Santuario della Divina Misericordia
Rileggiamo le illuminanti parole del Papa: “Se guardiamo con occhio più penetrante la storia dei popoli e delle nazioni che hanno attraversato la prova dei sistemi totalitari e delle persecuzioni a causa della fede, scopriremo che proprio lì si è rivelata con chiarezza la presenza vittoriosa della Croce di Cristo. E tale presenza ci apparirà forse, su quello sfondo drammatico, ancora più impressionante. A coloro che vengono sottoposti all’azione programmatica del male, non rimane altro che Cristo e la sua croce come fonte di autodifesa spirituale, come promessa di vittoria. Non è divenuto forse un segno di vittoria sul male il sacrificio di Massimiliano Kolbe nel campo di sterminio di Auschwitz? “ [ Memoria e identità, pag.32] .
A distanza di dieci anni, quell’atto di affidamento del mondo alla Divina Misericordia compiuto da un vecchio e stanco Papa, lungi dall’essere uno sbiadito ricordo, si rivela in tutta la sua urgenza profetica.  E’ la risposta più ragionevole per un’ umanità sempre più tecnologica, sempre più sviluppata, ma anche sempre più drammaticamente  smarrita e confusa,  rassegnata e frustrata di fronte alle gravi difficoltà e alle crisi che affliggono il nostro presente.

Cracovia, Consacrazione Santuario
della Divina Misericordia( 17 Agosto 2002)
Un’ultima riflessione. Al termine del rito di Consacrazione, così il Papa aprì il suo cuore: “Alla fine di questa solenne liturgia desidero dire che molti dei miei ricordi personali sono legati a questo luogo. Venivo qui soprattutto durante l’occupazione nazista quando lavoravo nel vicino stabilimento Solvay. Ancora oggi ricordo la via che porta da Borek Fałęcki a Dębniki. La percorrevo tutti i giorni andando a lavorare in diversi turni, con le scarpe di legno ai piedi. Allora si portavano quelle. Come era possibile immaginare che quell’uomo con gli zoccoli un giorno avrebbe consacrato la basilica della Divina Misericordia a di Cracovia?”
Oggi, nello stesso quartiere di Łagiewniki sorge un grande centro , il Centro Giovanni Paolo II, presso il quale è stato eretto il santuario dedicato a quell’uomo con gli zoccoli che, proprio nel Giorno dedicato alla Divina Misericordia, è stato proclamato Beato.  Se la storia dell’uomo e della Chiesa è guidata dalla Provvidenza, tutto questo ha un senso che non può lasciarci indifferenti: Dio ci invita a seguire la strada tracciata a Lourdes e a Cracovia in quei caldi giorni d’Agosto!!
La strada della Nuova Evangelizzazione, in fondo, era già stata segnata e indicata, ma la nostra pigrizia, i nostri pregiudizi, il nostro “snobismo”, allora,  ci hanno impedito di vedere e di comprendere quanto stava accadendo!! Ma la Misericordia di Dio è più grande della nostra inerzia e della nostra pusillanimità e continua a “ parlare” a tutti noi,  sempre e comunque, anche attraverso uno degli immensi lasciti del beato Giovanni Paolo II: la Consacrazione del Santuario della Divina Misericordia !! Spetta a noi, ora, aprire il nostro cuore e la nostra mente all'Amore di Dio per essere, seguendo l'invito del Papa, " testimoni della misericordia" 



Dio, Padre misericordioso,
che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio tuo Gesù Cristo,
e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo, Consolatore,
Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo.

ChinaTi su di noi peccatori,
risana la nostra debolezza,
sconfiggi ogni male,
fa' che tutti gli abitanti della terra
sperimentino la tua misericordia,
affinché in Te, Dio Uno e Trino,
trovino sempre la fonte della speranza.

Eterno Padre,
per la dolorosa Passione e la Risurrezione del tuo Figlio,
abbi misericordia di noi e del mondo intero!

Amen.

[ Preghiera di affidamento, Giovanni Paolo II 17 Agosto 2002]

martedì 14 agosto 2012


Il Magnificat, Canto di “ fede, speranza e amore”

Come spesso ricordiamo in questo nostro blog,  ci sono degli eventi che, per la loro forza evocativa, si trasfigurano, divenendo loro stessi “parola” e “messaggio” non traducibili né trasferibili in alcuna forma dialettica, sia questa scritta o orale. Può accadere, quindi, che la parola coincida con la realtà viva, carnale, di chi la pronuncia (o semi-pronuncia), fatto questo né scontato né frequente.
A Lourdes,otto anni fa, abbiamo toccato con mano il senso profondo e vertiginoso del Magnificat; in un certo senso lo abbiamo “ visto”, ne abbiamo pregustato la grandezza e tutta la Bellezza racchiusa in parole dal soffio divino ed  umano insieme.  Abbiamo “ sentito” evocare come presenza reale  la « gioia della Vergine Maria, la gioia per sapersi “guardata” da Dio nonostante la propria “bassezza”; la gioia per il “ servizio che le è possibile rendere, grazie alle “grandi cose” a cui l’ha chiamata l’Onnipotente; la gioia per il pregusta mento delle beatitudini escatologiche, riservate agli “ umili” e agli “ affamati”» [Lourdes Omelia 15 Agosto 2004].  Abbiamo “visto” con i nostri occhi che cosa significhi contemplare “con ardente amore, come Maria insegna, il volto di Cristo, nella certezza che solo da “Lui tutta la nostra vita riceve luce e speranza”.  Abbiamo compreso, con la mente e con il cuore, che pregare con la Madre di Gesù, “ camminare con  Lei nel pellegrinaggio della fede, della speranza e dell’amore”, significa sperimentare nella propria esistenza la Grandezza dell’Opera di Dio, significa riconoscere in noi stessi il Dono ricevuto e, quindi, l’amore capace di vincere le nostre paure, le nostre solitudini, i nostri mille “ perché” che, ragionevolmente, attanagliano, e spesso affliggono, la nostra quotidianità.  E riconoscere in noi il Dono, può trasformarsi in apertura : come Maria che visita Elisabetta, siamo chiamati a farci carico concretamente del destino di quanti il Signore pone sulla nostra strada, in una donazione  totale che “ nulla chiede in cambio”.
E, alla fine, abbiamo “visto” e “sentito” la Grazia e la Gioia che avvolgono chi, “raggiunta la meta”, è ormai proteso verso il suo Signore. Verrebbe da dire: abbiamo “visto” la Letizia e ne siamo rimasti sconvolti!!
Tutto questo è accaduto nei giorni avvolti dalla calura estiva ferragostana, il 14 e 15 Agosto 2004, quando il  mondo intero ha assistito a qualcosa di impensabile e inatteso, forse di imbarazzanti.
Giovanni Paolo II, ormai allo stremo, deve andare a “salutare” per l’ultima volta Colei che, presto, lo abbraccerà  definitivamente in cielo. Non cammina più, non riesce a completare la lettura dei discorsi, è piegato su se stesso, ma deve, vuole andare. Già questa sua tenacia è per noi tutti un insegnamento straordinario, così come lo è la scelta di vivere “ malato tra malati” questo suo ultimo pellegrinaggio. Presso la grotta di Massabielle, i suoi occhi sembrano proiettarsi in una dimensione oltre lo spazio e il tempo; il suo sguardo, di una tenerezza e gioia indescrivibili, sembra “incontrare” quello di Maria in un affidamento filiale che ora si fa totale, immenso e reale. Tutti i presenti non possono che assistere ad un dialogo che nessuna parola e nessun ragionamento umano sono in grado di spiegare.
In quel pomeriggio di Agosto, il “ Totus Tuus” , l’essere “ tutto per Maria” per appartenere totalmente a Cristo, ha raggiunto l’apoteosi, la sua sublimazione nella debolezza e nella fragilità di un uomo che, ostinatamente, ha voluto  inginocchiarsi davanti alla Madre, ha voluto aggrapparsi, con tutte le sue ormai esili forze, all’inginocchiatoio dal quale stava scivolando lentamente un corpo ormai incapace di reggersi. Il Magnificat di Maria, allora,  si è  “incontrato” con il Magnificat di un giovane poeta che, rispondendo ad un’urgenza del cuore, aveva alzato il suo inno di lode a Dio:  nella sofferenza lieta di un uomo il mondo poté quindi vedere quanto siano grandi le meraviglie di Dio, quanto sia potente il Suo Amore quando, come Maria, si fa della propria esistenza quel fiat che, in un totale abbandono a Lui e alla Sua Volontà, rende luminosa la vita di ognuno di noi, nel momento della giovinezza e della forza, ma, ancor di più, nel periodo della sofferenza, della vecchiaia e della morte!!  

Esalta, anima mia, la gloria del Signore,
Padre d’immensa Poesia – così buono.

Egli ha cinto la mia giovinezza di un ritmo stupendo,
ha forgiato il mio canto sopra un’incudine di quercia.

In te risuoni, anima mia, la gloria del tuo Signore,
Artefice dell’angelica Sapienza – Artefice clemente…..

Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi
-la mia strada è fitta di betulle, fitta di querce-
Ecco, io sono la terra dei campi, sono un maggese assolato,
ecco, io sono un giovane crinale roccioso dei Tatra….

Benedetto è l’Intagliatore dei santi, Slavo e profeta-
Abbi pietà – io canto come un pubblicano ispirato-
Esalta, anima mia, con il canto e l’umiltà
Il Tuo Signore, con l’inno: Santo, Santo, Santo..

Libro Slavo di nostalgie! Echeggia sui confini
Come gli squilli degli ottoni nei cori di resurrezione,
come vergine canto sacro, con una poesia reverente
e con l’inno dell’Uomo – Magnificat di Dio

[ Cracovia 1939, primavera – estate. “ Karol Wojtyla, tutte le opere letterarie” – Bompiani-collana “ Il pensiero occidentale”]

sabato 11 agosto 2012


Un cammino di fede in un Santuario " speciale"

Santuario Beato Giovanni Paolo II
San Pietro della Ienca ( Aquila)
Alcuni nostri amici, in questi giorni, stanno vivendo un’esperienza speciale, anzi, specialissima: si sono recati infatti presso una piccola e semplice chiesetta di montagna che si trova sui monti dell’Abruzzo, precisamente a San Pietro della Ienca, località abitata per lo più da pastori e contadini. Questa piccola chiesa, dall’architettura medievale, frequentata fino a pochi anni fa solo dai pastori  e dagli abitanti, mentre  pochissimi ne conoscevano l’esistenza, anche in Italia, è stata protagonista di un fatto tanto straordinario quanto ordinario.
Un giorno, un pastore che sta pascolando il suo gregge, vede un uomo vestito probabilmente di bianco; lo riconosce: è il Papa!! Il suo stupore è indicibile, anche perché mai si sarebbe immaginato di vedere tra i “suoi” monti un Papa. La sua meraviglia diventa incontenibile quando l’uomo vestito di bianco lo saluta, conversa con lui e gli dona, infine, un rosario. Dove andava Giovanni Paolo II? Perché stava percorrendo sentieri e vie solitarie e non segnate quasi sulle cartine stradali?
Un Papa, per nulla imbarazzato e indispettito dai  “ mugugni” curiali, “fuggiva” dai Sacri Palazzi, per   contemplare  nelle montagne “l’opera di Dio e abbandonarsi al loro Creatore”.
Come ricorda il suo segretario, il card. Dziwisz, Giovanni Paolo II amava immergersi nella maestosa semplicità dei monti, amava camminare e sciare in mezzo alla neve o tra i boschi, dove la sua anima si nutriva della preghiera più alta e sublime, raggiungendo profondità inimmaginabili.
Le montagne, le vette, i prati, i boschi, quando lo sguardo si eleva verso l’Infinito, si trasfigurano in una grandiosa “ Cattedrale” a cielo aperto.  Questo accadeva con Giovanni Paolo II. Ebbene, il Papa, quel giorno  si recava, di nascosto, sui monti dell’Abruzzo che sentiva particolarmente vicini in quanto simili ai suoi “ Tatra”; stava raggiungendo una piccola chiesetta di montagna che qualche anno prima “aveva scoperto” durante un’escursione: la Chiesa di S. Pietro della Ienca.
Santuario Beato Giovanni Paolo II
San Pietro della Ienca ( Aquila)
 Il Beato Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, sostò molte volte  in preghiera e in meditazione in quel luogo così disadorno e umile, oseremmo dire, povero e solitario, apparentemente privo della grandezza delle Cattedrali, privo della maestosità degli arredi sacri; ma proprio lì elevava il suo spirito, la sua mente e il suo cuore verso l’Amore Infinito  traendone quella forza, quella sapienza, quella pace così indispensabili per chi, “innamorato dell’uomo in ragione di Dio”,si faceva carico del destino dell’uomo e dell’umanità.
Quella chiesetta, costruita in età medievale in una zona ancora oggi abbastanza impervia , il 18 Maggio  2011 è stata  eretta  quale Santuario, meta di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il mondo: Cardinali e ambasciatori, semplici devoti, uomini e donne, bambini e anziani, raggiungono il primo  Santuario  europeo dedicato al Beato Giovanni Paolo II per volgere il loro sguardo a Dio, immersi nel silenzio e nella quiete, nella sequela del grande Papa, loro potente intercessore e loro amico. In questo luogo, infatti, tutto “ parla” di lui: la reliquia ( un’ampolla contente una goccia del suo sangue), una statua che accoglie i fedeli, un dipinto, le iscrizioni, le iniziative e, soprattutto la Madonna di Fatima, perché non si può scindere Giovanni Paolo II da Maria.
Pregare presso il Santuario del Beato Giovanni Paolo II significa “ Respirare”, “ incontrare”, “ far esperienza”  della luminosa testimonianza e della straordinaria fede del grande Papa; significa, poi, riscoprirne il luminoso insegnamento e l’originalissimo e profondissimo pensiero; significa imparare a pregare e a “mettersi in Dio”come lui pregava e come lui si “ metteva in Dio”. Non si diventa cristiani adulti, non si approfondisce la conoscenza di Dio se ci si limita allo studio, alle letture, pur indispensabili. E necessario invece inginocchiarsi ed entrare nella “dimensione di Dio”, affidarsi a Lui, abbandonarsi al Bene che Lui è per noi. E, in questo, il Beato Giovanni Paolo II, è stato ed è un maestro insuperabile!!

Quella sperduta  chiesetta , meta di un “Papa montanaro ed escursionista”, è oggi più che mai un luogo di Grazia e di Fede,  segno di una Presenza che, da un piccolo borgo,  si irradia in tutto il mondo come testimonianza dell’Amore  illimitato e incommensurabile di Dio, la cui Grandezza  risplende più che mai tra mura di pietra e nell’angusto spazio di una piccola cappella di montagna, dove umili pastori e un “umile” contemplavano e abbracciavano il Mistero!!

In un tempo in cui si parla di “ Nuova Evangelizzazione” e di iniziative per il prossimo “ Anno della fede”, camminare lungo i sentieri che conducono al Santuario del Beato Giovanni Paolo II presso la Ienca, può costituire una straordinaria ed unica occasione di arricchimento e di crescita spirituale, un modo per conoscere Dio e per “ incontrarLo” VERAMENTE!!

sabato 4 agosto 2012

Costalta - 2

"Ricordi"
del Papa a Costalta

Per quei sentieri, che portano in cima alle montagne più belle del mondo, in molti, tra emozione, stupore, incredulità e sentimenti che fecero gridare al miracolo, ebbero la grazia e la fortuna, talvolta ricercata altre volte veramente inattesa, di incontrarlo.
«Inizialmente, quando mio figlio Michele mi disse che il Papa stava scendendo da Tabiè Grande ero incredula, pensavo ad uno scherzo, mentre mio marito, Duilio, credette subito a quello che stava succedendo - racconta Dolores Casanova De Marco di Costalta -. Quando mi decisi a salire in macchina verso il sentiero l'emozione cresceva forte forte, tanto da tremare. Quando poi, assieme a mia mamma, mi avvicinai a Sua Santità lui mi chiese se fosse mia madre e io, confermando, gli dissi che eravamo felici di averlo tra noi. Non avremmo mai pensato di vedere il Papa a Costalta. Incontrarlo è stato una gran fortuna e una grazia immensa. Nel momento in cui gli ero davanti, ho sentito qualcosa di soprannaturale e quella notte non ho dormito».
Salendo da Costalta verso la Val Visdende si arriva al rifugio Monte Zovo. E lì un giorno Karol Wojtyla si fermò. Nessuno prima dell'estate 1987 avrebbe mai pensato di poter scrivere una frase del genere. Invece successe veramente, durante uno dei soggiorni papali a Lorenzago. Nelle molte uscite per i monti del Cadore, il Pontefice raggiunse anche il rifugio costaltese, appunto, di Forcella Zovo. «Stavamo pulendo dei funghi - narrano Antinesca e Antonio De Bettin, che con precisione ricordano l'ora esatta dell'incontro (le 17 e 10) -. Mai avremmo pensato di poter vedere sull'uscio del nostro rifugio il Papa. E ciò nonostante avessimo visto al mattino uno strano movimento di uomini e mezzi. Vedo ancor oggi davanti agli occhi, come fosse quel giorno, passare la jeep e poi avvicinarsi la figura bianca del Pontefice. Una cosa che mi resterà impressa fin che vivo. E' entrato nel bar, si è appoggiato al banco ed ha intravisto l'angolo con il caminetto. Si è avvicinato alla porta, ha cominciato a fissarlo e mi ha chiesto se cenassimo là, vicino al caminetto, alla sera. All'inizio quella domanda mi era sembrata strana, poi Joaquin Navarro Valls mi ha spiegato che in Polonia quasi tutte le case custodiscono un caminetto e il nostro aveva ricordato al Papa la sua terra». Sua Santità si sentiva a suo agio e senza fretta ammirò il paesaggio circostante. «Ci chiese il nome dei nostri monti, volle sapere della nostra famiglia e del nostro rifugio - continua Antinesca, con la voce rotta dalla tristezza -. Poi ha voluto bere la nostra acqua ed ha mangiato dello strudel. Un incontro che non dimenticheremo mai, perché per noi questo non è stato un Papa qualsiasi: è stato il "nostro" Papa».
Yvonne Toscani


Ci permettiamo di condividere con i nostri due lettori, due articoli, uno apparso su " Echi di Costalta - Luglio 1987, l'altro sul " Gazzettino di Belluno" il 3 Aprile 2005.


Il Papa a Costalta - 1



DAI TORCHI ALL'AMERICA
I commenti della gente che ha incontrato il Papa

Un insolito movimento di turisti che scendono dai boschi della Viza, per i prati di Paze: strano, ma non tale da insospettire qualcuno. Sui prati di Barche, Varlonge e Prade, continua normalmente il lavoro di raccolta del fieno. Poi il vescovo ed il parroco che accorrono dal sentiero sottostante. E l'improvvisa decisione del Papa di indossare la veste bianca e di incontrare la gente, rendono inutili i piani del servizio d'ordine, che intendeva farlo giungere in incognito in canonica di Costalta.
Nato, Agnese, Marco e Lucina sono i primi a cui viene detto: "Continuate il vostro lavoro, tra poco passerà il papa a benedirvi", come fosse la cosa più normale del mondo che il successore di Pietro scendesse a piedi per i prati di Paze.
"Credevo di sognare - racconta Agnese - ho visto il 

Papa avanzare verso di noi e, come inebetita, mi accorsi che stavo rastrellando all'insù. Ci siamo inginocchiati tutti ed egli ci ha benedetti".
E' iniziato così, con stupore ed incredulità impossibili da descrivere, il pomeriggio dell'11 luglio 1987. Unico nella storia del papato recente, figuriamoci nella storia di un paese piccolo e marginale come Costalta.
"Stiamo preparando un filmato, sarete ripresi dalla televisione e le vostre foto andranno sui giornali", così i giornalisti e fotoreporter, a cui è stata concessa la possibilità di riprendere le immagini dell'ingresso del Papa in paese, a Bruno, Sabina, Silvana che stanno finendo la raccolta del prato di Varapiön. Sabina ha raccolto "la koda" nel "döi da foia", Bruno e Silvana appoggiano i rastrelli alla spalla: gesti naturali e consueti per chi si appresta a rientrare al fienile. Ma ecco apparire dal sentiero dei Torchi la bianca figura di papa Wojtyla. "Era tanta la meraviglia e la confusione che non mi ricordavo di avere il gerlo in spalla. L'ho notato quando mi sono rivista in televisione e sulle foto riportate dai giornali. Un avvenimento impensabile, una grazia grandissima per noi tutti" dice Sabina.
Più in alto, verso Stapanzogn, Arturo, Giannina, Guido e Adamo stanno facendo " biestre" e preparando un "balöto". Guido, osservando la scena, con la voce rotta dall'emozione, dice agli altri: "Guardate il Papa!" . E Adamo di rimando: "Continua a lavorare, avrai le traveggole". Ma poi anch'egli accorre a ricevere la benedizione e la corona-ricordo. Ricord Adamo: "La mia vita è cambiata dopo questo incontro. Ero scettico e critico, ma dopo aver visto l'umanità di questo Papa, sento che credo di più".
"Mancava un gradino per essere in Paradiso" commenta Davide, 78 anni, con gli occhi carichi di gioia e di commozione, ricordando l'abbraccio del Papa. Pur con le gambe malferme, egli è stato uno dei più lesti ad accorrere per il ripido sentiero di Stamsöto. Anziani e bambini: a loro il Papa riserva i momenti più prolungati e gli scambi affettivi.
Il Sommo Pontefice a piedi per via Villa, via De Marco, piazza Casanova! Il Papa che mangia in canonica! Tutto ha il sapore dell'incredibile. Dario e Patrizia, con un gruppetto di intraprendenti, aggirano il servizio d'ordine che blocca la stradina d'accesso alla canonica e raggiungono il prato che costeggia il terrazzino dove le signore Ducoli, cugina e sorella del Vescovo, stanno servendo al Papa il pranzo da loro preparato. "Sono due fidanzati" li presenta Don Giorgio, segretario del Vescovo. Ed il Papa, accostandosi alla balaustra, li benedice con gli auguri per il futuro matrimonio. E poi - rivolto al vescovo - dice: "Questa è una piccola loggia delle benedizioni".
A distanza di mesi, l'emozione ha lasciato il posto alla razionalità, ma ancora più grande e straordinario viene considerato da tutti quel pomeriggio. "Quando ho visto in televisione il Papa stringere la mano a Reagan e mi sono ricordato della familiarità con cui si è incontrato con noi, ho apprezzato ancora di più la figura di questo Papa: grande tra i grandi e semplice tra la gente semplice come noi". E' Bruno a parlare tra la decine di foto di giornali che lo ritraggono accanto al Papa. Sui "prati del Papa" fervono i lavori di raccolta dell'"otigöi". "Erba benedetta" commenta qualcuno. E Adamo, che non può ancora capacitarsi nel vedersi ritratto accanto al Papa con lo sfondo dei fienili di Varlonge, dice stupito: "Dai Torchi all'America! Proprio vedendo le immagini televisive del viaggio del Papa negli Stati Uniti, si può capire quanto grande sia stato quell'11 luglio per tutti noi!" (I.E.)



Le vacanze di un Papa…una sedia gialla ed una catechesi continua

 

La montagna  era connaturale alla sua spiritualità. Nelle montagne contemplava le opere di Dio, e lui si abbandonava al loro Creatore. Finito di mangiare, prendeva a camminare, da solo, anche per ore: così, diceva, stava a quattr’occhi con il Signore 

S. DZIWISZ, Una vita con Karol


Dinanzi al maestoso spettacolo di queste cime possenti e di queste nevi immacolate, il pensiero sale spontaneamente a Colui che di queste meraviglie è il creatore: “Da sempre e per sempre tu sei, Dio”. In ogni tempo l’umanità ha considerato i monti come il luogo di un’esperienza privilegiata di Dio e della sua incommensurabile grandezza. L’esistenza dell’uomo è precaria e mutevole, quella dei monti è stabile e duratura: eloquente immagine dell’immutabile eternità di Dio. Sui monti tace il frastuono caotico della città e domina il silenzio degli spazi sconfinati: un silenzio, in cui all’uomo è dato di udire più distintamente l’eco interiore della voce di Dio. Guardando le cime dei monti si ha l’impressione che la terra si proietti verso l’alto quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l’uomo sente in qualche modo interpretata la sua ansia di trascendenza e di infinito. Quale suggestione si prova nel guardare il mondo dall’alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva d’insieme! L’occhio non si sazia di ammirare né il cuore di ascendere ancora; riecheggiano nell’animo le parole della liturgia: “Sursum corda”, che invitano a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là del tempo, verso la vita futura. [ Aosta, Angelus 7 Settembre 1986]


 "Davanti a questo panorama di prati, boschi, torrenti, cime svettanti verso il cielo, noi tutti ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie delle sue opere e vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione; queste montagne infatti suscitano nel cuore il senso dell'infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime». [Val Visdende, Belluno, 12 Luglio 1987]

La montagna da sempre ispira  illuminati pensatori, geniali poeti, letterati, artisti;  ha in sé qualcosa di speciale, di unico perché rappresenta l’uomo con le sue aspirazioni, i suoi aneliti, il suo desiderio di realizzazione; in una parola, rappresenta la VITA, cioè il cammino dell’esistenza umana tesa sempre e comunque verso obiettivi alti o, semplicemente, verso quella meta che dà compimento e senso all’agire, all’amare e al soffrire dell’uomo. La Vita è una continua salita impegnativa, non priva di ostacoli, di imprevisti, di pericoli, proprio come l’ascesa ad un monte.
I “sentieri” della vita, infatti, così come quelli di un monte, sono spesso impervi ed erti e non sempre facilmente percorribili. Anzi, chi sceglie quelli più facili e agevoli, magari scorciatoie, alla fine si smarrisce senza trovare la meta finale, come chiarisce splendidamente Petrarca in una lettera scritta al fratello dopo la sua salita al monte Ventoso ( Provenza, Francia). Lo stesso Dante più volte fa riferimento alla metafora della montagna per indicare il destino dell’uomo, quindi il significato della sua vita. Non è un caso che il Poeta, richiamandosi in parte alla tradizione, costruisca tutto il suo sistema cosmologico sulla struttura del monte, uno dei quali, l’Inferno, è rovesciato, mentre l’altro è un colle, il Purgatorio, la cui salita appare obbligata per raggiungere il Paradiso.
Ma soprattutto la Bibbia, per altro ispiratrice dei grandi Poeti citati, ci propone immagini della montagna cariche di straordinaria eloquenza teologica e antropologica: il Sinai,dove Dio ha “parlato” all’uomo; Moria, il monte testimone della fede di Abramo. Gesù  pronunciò il “ Discorso delle Beatitudini”, su  un monte e fu crocifisso sul Golgota; come non ricordare poi l’apparizione di Maria sul Monte Carmelo? Questi sono solo alcuni esempi. Da tutto ciò si evince comunque quale ruolo occupi la montagna nella storia dell’umanità e, in particolare, nella sua dimensione religiosa, escatologica e antropologica.

Mons. Careggio , che spesso accompagnava il Papa,scrive: “ Se si pensa che Dio sui monti ha incontrato l’uomo, che  lo stesso Gesù Cristo amava appartarsi solo sul monte per pregare, non stupisce affatto il desiderio del suo Vicario che voleva salire sempre più in alto, per soddisfare la sua sete di altezze e di intimi colloqui con l’Infinito” [ cfr Giovanni Paolo II, l’uomo delle alte vette pag. 54].
Giovanni Paolo II viveva veramente la montagna, anzi, potremmo dire, come la si deve vivere, come la vivono i veri montanari. Con le vecchie scarpe e il bastone da montanaro,  affrontava salite difficile , si arrampicava lungo sentieri rocciosi ed erti, leggeva seduto su un tronco d’albero o in un’insenatura rocciosa circondata dal verde di una natura rigogliosa; consumava quindi il frugale pranzo al sacco con i suoi accompagnatori, guardie comprese, con i quali, al termine, amava intonare qualche canto tradizionale: il Papa, è bene ricordare, “ non incontrò mai la montagna da solitario, era lui stesso a volerlo” ; si intratteneva “ con tutti, specie con chi incontrava lungo i sentieri”: escursionisti, montanari, pastori.( ibidem, pag 61) . Al riguardo è stupenda la fotografia che lo ritrae mentre conversa con dei contadini in tenuta da lavoro, mentre una donna gli porge un semplicissimo vassoio contenente dei dolci da lei preparati..
Durante una dei suoi soggiorni in Val d’Aosta, invitato da un gruppo di giovani, partecipò ad un loro incontro che prevedeva, per altro, anche canti intorno ad un falò: come un semplice curato, egli, seduto in cerchio, condivideva la gioia dei suoi giovani amici. Nell'estate 1987 , durante una delle escursioni, giunse inaspettatamente nel paese di Costalta, dove incontrò gli abitanti, increduli di fronte alla vista del Papa che, poi, pranzò in Canonica con il Parroco. 
Amava la montagna, ne amava i colori, i suoni o i non suoni, ma amava anche la fatica, i disagi, gli sforzi che essa impone all’uomo che vuole giungere alla meta. Racconta Lino Zani che un giorno, dopo un’escursione piuttosto impegnativa, la comitiva papale giunse ai piedi di un’altura rocciosa sulla cui cima vi era un crocifisso: il Papa, nonostante le resistenze da parte del suo seguito, si arrampicò manifestando l’urgenza di pregare in quel luogo; i presenti, rimasti ad attenderlo alla base, furono sconvolti dall’intensità e dalla durata della preghiera che si faceva contemplazione.
 Quanti racconti custodiscono i pochi privilegiati testimoni di piccoli eventi di grande santità!! Del resto  in Giovanni Paolo II, in  una sintesi stupefacente, si  concentravano l’elemento mistico, quello metafisico, quello estetico e trascendente plasmando una personalità dalla rara capacità di penetrazione sia del mondo interiore sia di quello esterno; “ provava, così, una forte emozione nel cogliere la voce della natura, ascoltare ogni minimo fruscio, respirare gli intensi profumi del bosco. Amava godersi il sole, l’aria, il vento, l’acqua tumultuosa e spumeggiante dei torrenti”così come, “ intenso era il desiderio di toccare la montagna , anche quando la nebbia o la pioggia tentavano di dissuaderlo senza riuscirci” La ragione di una simile tensione è ben spiegata sempre da Mons. Careggio: “vette e i ghiacciai, come le stelle del cielo, il fragore dei torrenti e delle cascate, i placidi laghi alpini, le verdi praterie per Giovanni Paolo II non furono altro che il linguaggio di Dio e il loro parlare a noi di Dio” ; pertanto,“ teologia e profezia, bellezza e potenza, profondi silenzi e voci arcane: questa è la montagna che il Papa ha celebrato con accenti di sublime poesia” ( ibidem, pag,53).
E lo ha fatto fino alla fine, persino in quell’ultima estate del 2004 quando, impossibilitato a camminare, è comunque “ salito” sulle ”sue” montagne per contemplare la maestosa semplicità  di Dio, per volgere a Lui lo sguardo in uno slancio d’amore mistico che preludeva l’Unione definitiva con l’Infinito Amore il cui abbraccio lo avrebbe accolto solo pochi mesi dopo. Abbiamo avuto la grazia, a due mesi dalla morte del Grande Papa, di vedere quella semplice e comune sedia dal tessuto giallo su cui, l’anno prima, si era seduto per contemplare la bellezza del Creato; in quel momento moti di tristezza, di malinconia, di nostalgia, di gratitudine, di gioia e di stupore hanno pervaso i nostri cuori e le nostre menti: quella banalissima sedia ci “parlava” di un’assenza, di un vuoto incolmabile, ma ci “parlava” anche di uomo che,  privato persino della forza di camminare e parlare, da quella sedia volgeva lo sguardo verso la vallata, i boschi e i sentieri dei monti, tante volte percorsi, e, contemporaneamente, invitava noi tutti a ad abbandonarci a Dio, al Suo Infinito Amore; ci invitava ad alzare le nostre menti e i nostri cuori, intorpiditi e accartocciati su se stessi, verso mete più alte e luminose…ci invitava a “ scalare la montagna della Vita”, proprio come lui aveva fatto per tutta la sua esistenza. Ecco, questo ci diceva quella comunissima sedia gialla!!

Le vacanze di Giovanni Paolo II , “teologo della montagna”, hanno rappresentato un’ulteriore grandiosa catechesi che il grande Papa ha voluto donare a noi, suoi figli, indicandoci così la Via che conduce alla vera felicità e alla vera pienezza . Ancora una volta si è mostrato a noi quale maestro di umanità e di vita: godendo delle “ sue vacanze” , il Papa ha insegnato a noi a godere pienamente delle “ nostre vacanze”!!