mercoledì 11 dicembre 2013

Lo sport: i valori possibili

Questa settimana, come tradizione, prede avvio il “ Torneo Giovanile Karol Wojtyla” che ha ormai assunto una dimensione internazione per la provenienza delle squadre.
Giovanni Paolo II, lo sappiamo era molto vicino al mondo dello sport, come dimostrano innumerevoli discorsi, incontri, dialoghi.

Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e dal professionismo mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, come espressione della ricchezza dell’essere, ben più valida e apprezzabile dell’avere, e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita.  .. [ 12 Aprile 1984 ]

Queste parole pronunciate da chi ben conosceva il valore dello sport, sono da considerarsi utopistiche, espressione di una visione ideale, magari auspicabile, ma non certo reale? In un mondo dove tutto sembra ruotare intorno al denaro, alla fama, al successo, come quello dello sport, del calcio in particolare, ha ancora senso parlare di uno  educazione, di “ valorizzazione della persona umana, di rispetto e responsabilità? Oppure il cinismo, l’individualismo, l’esasperazione della vittoria costituiscono la cifra ormai distintiva di tale mondo?
Ad uno sguardo superficiale, parrebbe che l’ambiente dello sport, specie professionistico, non sia immune dalla crisi di valori che coinvolge la società contemporanea. Le cronache sportive, del resto, registrano episodi di violenza, di razzismo, ma anche esempi di trasgressione in campo e fuori,  non certo modello per i nostri giovani. Tutto vero. Aggiungiamo poi che nello sport, nel calcio in particolare, sono oggetto quasi di “ culto”,  personaggi mediatici, diremmo, capaci di “ bucare lo schermo non solo per le loro abilità: acclamati, esaltati, “ idolatrati da tifosi e media.

Ma lo sport non è solo questo!! Se si osserva con uno sguardo non parziale e distratto, si possono cogliere parole e gesti che nobilitano anche l’attività sportiva, anche un ambiente, quello del calcio, i cui protagonisti appaiono sempre di più solo come divi milionari. Ci riferiamo a gesti che, nella loro semplicità, rispondono in qualche modo al messaggio di Giovanni Paolo II.
Ecco alcuni esempi.
Al termine di una partita di calcio, il capitano della squadra vincitrice della Liga Spagnola ( il nostro Campionato di calcio), invece di alzare il trofeo, secondo tradizione, ha chiamato accanto a sè un suo compagno di squadra e l’allenatore: ha voluto, in accordo con tutti i suoi compagni, che loro due alzassero la coppa, loro che avevano combattuto una dura battaglia contro il cancro. Ciò ha un enorme significato, soprattutto per un mondo in  cui hanno valore solo il risultato, la vittoria, la fama, il riconoscimento, i premi, il denaro, l’efficienza fisica. Con un simile gesto, il capitano ed i suoi colleghi hanno dimostrato che ciò che conta è la “ vita”, quella reale, fatta di sofferenza, di dolore, di speranza; la vera vittoria non è quella conseguita sul campo, ma nella lotta quotidiana dell’esistenza, soprattutto quando questa è segnata dalla malattia, dalla debolezza, dalla paura. E il successo sportivo, così, diventa momento di condivisione, momento di amicizia, momento di autentica gioia, proprio perché fondato su valori non effimeri, ma profondamente umani.

Ma in quella serata, così speciale, un’altra immagine ha offerto un esempio di come lo sport dovrebbe essere vissuto: i giocatori, in mezzo al campo, hanno festeggiato con i loro bambini, con loro hanno ammirato lo spettacolo dei fuochi artificiali, con loro hanno voluto gioire. Anche in questo caso, non possiamo non cogliere una piccola lezione di umanità: la famiglia, gli affetti, la paternità ( in questo caso), rappresentato il cuore, l’essenza della vita. Sul campo si gioca, si lotta per ogni pallone, si perde e si vince, ma alla fine ciò che rimane, ciò che dà senso alla vita anche di questi campioni, è tutto racchiuso in quell’abbraccio tra una figlia e il suo papà. Del resto, uno di questi campioni, ad una domanda specifica così rispose: “la piccola mi dà la vita intera!!” Chi  ha così chiosato, è anche colui che, nel momento più alto della sua carriera, quando ha segnato in Sud Africa il gol che ha dato il Mondiale alla sua squadra, ha voluto “condividere” la sua gioia con l’amico scomparso l’anno prima, un  calciatore che militava nella squadra rivale della stessa città: quella maglietta con la scritta “ D.J sempre con noi” raccontava di un giovane giocatore che, neppure nel momento del massimo trionfo, poteva dimenticare l’amico e il dolore per la perdita. 
E qualche giorno ha voluto ricordare Nelson Mandela che egli incontrò per due volte. Nel 2007, mentre gli altri giocatori preferirono riposarsi in hotel, egli, insieme ad altri tre colleghi volle incontrare il grande leader recentemente scomparso…Tutto questo nella discrezione e nel nascondimento, lontano dai riflettori mediatici che catturano ogni gesto del campione di turno!!

“Vivete da uomini che restano tra loro amici e fratelli anche quando gareggiate per la “corona” di una terrena vittoria! Stringete le vostre mani, unite i vostri cuori nella solidarietà dell’amore e della collaborazione senza frontiere! Riconoscete in voi stessi, gli uni negli altri, il segno della paternità di Dio e della fratellanza in Cristo! “ , così Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo Internazionale degli sportivi ( Stadio Olimpico 12 Aprile 1984).

Non stupisce, allora, che un tale giocatore, uno dei migliori al mondo, sia applaudito in tutti gli stadi spagnoli, ma non solo: in Francia ed in Scozia i tifosi della squadra rivale, per altro sconfitta, si sono alzati in piedi per attribuirgli una commovente ovazione, un’ovazione al calciatore, al suo talento, ma soprattutto un’ovazione alla persona, al suo essere, alla sua umanità, alla sua semplicità ed umiltà.  Certo, anche lui guadagna molto, ma è anche vero che ha investito il suo denaro per acquistare un terreno per la coltivazione della vite ed ha creato un’azienda vinicola nella sua regione d’origine,  per altro non particolarmente ricca; sostiene economicamente la squadra in cui ha mosso i suoi primi passi da calciatore….e altro ancora. La ricchezza, come si può constatare, può diventare fonte di bene, occasione per aiutare gli altri, strumento per promuovere il lavoro e, quindi l’uomo. Anche un campione che ha vinto 21 trofei a livello nazionale e internazione con la stessa squadra, tre con la nazionale del proprio Paese ( 2 europei ed un m mondiale), può incarnare valori autentici a cui i giovani possono guardare per crescere secondo l’autentico spirito sportivo, così spesso invocato da Beato Giovanni Paolo II.


Dedichiamo questo post ad un campione molto speciale….anche senza “Pallone d’oro”. 

martedì 10 dicembre 2013

Le Braccia della Madre

Ogni uomo di fronte alla Madonna sperimenta qualcosa di indicibile, qualcosa che coinvolge tutti i suoi sensi e il suo intelletto, senza che sia però capace di trovare parole adeguate per  comunicare tale esperienza. Non è un caso che i grandi mistici ricorrano alla preghiera, precisamente  allo spirito contemplativo che da essa scaturisce. Come spesso viene ricordato, lo stesso Dante, di fronte alla Bellezza di Maria, fa pronunciare a S.Bernardo una delle preghiere più stupende che mai siano state scritte.

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.  Pd. XXXIII

In queste terzine dantesche troviamo tutta l’essenza , tutta la vertiginosa profondità di un Mistero divenuto dono per l’umanità.
“ Figlia del tuo figlio”: ricordando il passo dantesco, il beato Giovanni Paolo II,  coglieva, proprio nella totale appartenenza a Cristo, l’unicità della maternità di Maria: “ Ella riceve la vita da Colui al quale ella stessa diede la vita” ( Redemptoris  Mater, 10).
 Eletta da Dio,  Maria entra nel disegno salvifico proprio in forza della donazione totale di sé, del suo essere pienamente e totalmente immersa nel Mistero di Dio.   Ella è la creatura più “ alta”, più elevata proprio in virtù del suo essere “ umile”: “ si è abbandonata a Dio completamente, ha risposto con tutto il suo “io” umano, femminile” ( Redemptoris Mater”), cooperando così con la Grazia di Dio che sempre ha agito in Lei.
Nella carnalità di una donna, nel suo “ ventre”, l’Amore si è reso visibile all’umanità, in Lei è stato nutrito “ col suo sangue” , in lei è stato “custodito nell’estasi”. Karol Wojtyla, in una sua poesia, farà dire alla Madre di Dio: “ cresceva nel mio cuore in silenzio, come Nuovo Uomo/ tra i miei stupiti pensieri ed il lavoro quotidiano delle mie mani”. Maria, una madre, la Madre che condivide ogni istante della sua vita con il Figlio,  la Madre che ne scruta i pensieri mentre, come scrive Karol Wojtyla, “ in Lei il Figlio si “ avvezza ai pensieri dell’uomo”:  questa Madre, umanissima nel suo essere “ mamma” ( “ Figlio mio – nel villaggio dove tutti ci conoscevano entrambi/ mi dicevi “ Mamma” “, Stupore davanti all’Unigenito)  sperimenta la “ pienezza materna/ la pienezza che ignora sazietà” nel sentirsi toccata dallo sguardo del Figlio che penetra nella profondità del cuore di ogni uomo, del suo in modo così speciale. Ella, come una madre, ci ricorda sempre il futuro Papa, negli occhi del Figlio riconosce “ il lampo del cuore”, lo svelarsi del “ mistero dell’uomo” ed allora ecco che la sua maternità  si fa preghiera, si fa contemplazione: “ io resto tutta assorta nel tuo Segreto”, così dichiara la Madre a cui Giovanni Paolo II,  giovane sacerdote che, nell’affidamento a Maria, aveva riposto tutta la sua esistenza. E tale affidamento, questo suo “ essere di Maria” costituirà l’essenza più profonda del suo essere, del suo agire, del suo soffrire e del suo morire. Oggi, possiamo dire, anche della sua santità.
Giovanni Paolo II, il Papa che ha introdotto la recita del rosario il primo sabato del mese, da lui stesso guidata ovunque andasse, il Papa che ha voluto che l’immagine di Maria vegliasse per sempre sui fedeli  in piazza S. Pietro, il Papa della Consacrazione del mondo a Maria, è soprattutto il Papa che, “ totalmente assorto” nel Segreto della Beata Vergine, umilmente ha messo nelle Sue mani l’intera sua esistenza nella certezza che solo le braccia della Madre possono condurre alla Meta, cioè al Figlio; solo le braccia della Madre donano speranza e rendono certi i passi; solo le braccia della Madre non rendono vana la fatica.
Senza di Lei, senza la sua intercessione, ben poco potrebbe fare l’uomo, anche il più illuminato, anche il più saggio, anche il più capace. Il beato Giovanni Paolo II, con la sua stessa vita, è divenuto per l’umanità l’icona di un così potente affidamento: egli sapeva che solo  tra le “ braccia della Madre” tutto era possibile, persino ciò che gli uomini potevano ritenere impossibile. La storia, lo ripeteva sempre, non è il prodotto dell’azione dell’uomo, ma della presenza sconvolgente, commovente e vertiginosa di Maria, l’Immacolata.  E noi siamo stati testimoni di tutto questo!!!

“ Nella vita e nella morte tutto tutto tuo, Gesù, mediante l’Immacolata”


martedì 5 novembre 2013

SACERDOZIO – SANTITÀ

Il 1 Novembre,festa liturgica di Tutti i Santi, la Chiesa ci ha invitato a meditare sulla santità a cui ognuno di noi è chiamato.

Cracovia Cripta di S.Leonardo ( Wawel).


 Il 1 Novembre 1946, in una piccola cappella dell’Arcivescovado di Cracovia, per quel disegno stupendamente e misteriosamente scritto nel Grande Libro di Dio, un giovane diacono veniva ordinato sacerdote. Il card.Sapieha, nella sua lungimirante saggezza, volle che Karol Wojtyla venisse ordinato prima degli altri suoi compagni, perché potesse così partire per Roma, dove avrebbe continuato i suoi studi di teologia. Giovanni Paolo II, ricordando la data scelta dal suo Vescovo, riconosce che la sua ordinazione “ ebbe luogo in un giorno insolito per tali celebrazioni, la solennità di Tutti i Santi”( Dono e Mistero, pag. 51). Quel giovane sacerdote, che da Papa ancora si stupiva per la circostanza in cui ebbe luogo la sua ordinazione, fra qualche mese sarà proclamato Santo. Noi non crediamo alle coincidenze! In quanto accadde in quel lontano 1 Novembre, giorno di Ognissanti, non possiamo non cogliere un segno, l’inizio di un sigillo di Dio ad una vita che sarebbe stata tutta una risposta alla chiamata alla santità. 
In “ Dono e Mistero”Giovanni Paolo II, con forza, scrive: “ Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare , in un mondo sempre più secolarizzato, un  testimone trasparente di Cristo e del Suo Vangelo”. Da queste parole si evince con chiarezza quanto per il Papa il senso di ogni  Ordinazione, o meglio, la sua essenza profonda risieda nell’essere testimoni di Cristo, non in altro, fosse anche una tensione generosa e solidale verso i cosiddetti “ ultimi”, fosse anche una eccezionale capacità organizzativa e creativa. No, Giovanni Paolo II, proprio a partire dalla sua esperienza, era convinto che “ Il segreto più vero degli autentici successi pastorali non sta nei mezzi  materiali, ed ancor meno nei “mezzi ricchi”. I frutti duraturi degli sforzi pastorali nascono dalla santità del sacerdote. Questo è il fondamento!”.Come si può constatare, sacerdozio e santità sono due realtà indissolubile nel pensiero e nella vita del Papa. Che cosa significa questo?
Per rispondere proponiamo la testimonianza di una donna straordinaria che, a Dio piacendo, assisterà alla canonizzazione di colui al quale si rivolgeva chiamandolo fratello.  Stiamo parlando della dott.ssa Wanda Poltawska, amica  e “sorella” di Giovanni Paolo II.
La dott.ssa Poltawska, donna di profondissima fede, dopo aver sperimentato la crudeltà disumana dei campi di concentramento, non poté evitare di porsi domande cruciali sull’uomo e sul suo destino: come è possibile che l’uomo, immagine di Dio, venga a tal punto annientato, “ sfigurato”? come è possibile un simile abbruttimento della creatura di Dio contro un’altra creatura di Dio? Chi è l’uomo? Domande tremende, diremmo, tragiche, profondamente laceranti. Ebbene, per dare una risposta a tutti questi  dubbi che affliggevano la sua mente e la sua anima, si rivolse a più sacerdoti, ma senza esito. Lei stessa racconta: «Mi confessavo, e inizialmente avevo cercato di eliminare quelle mie inquietudini durante la confessione, ma non avevo ricevuto la risposta che cercavo…Una volta, dopo il turno al reparto, quando mi ero imbattuta in un problema la cui soluzione superava le mie possibilità e non sapevo come procedere, andai in chiesa, dai gesuiti, da un sacerdote che stava appunto in confessionale. Gli chiesi che cosa avrei dovuto fare in quel caso concreto. Il sacerdote, mi disse: “ Questo è un tuo problema, tu sei un medico cattolico, non io, è la tua coscienza che ti deve dare la risposta”..Non attesi neanche l’assoluzione, semplicemente mi alzai e me ne andai».  ( da Diario di un’amicizia pag.36)”
I dubbi rimanevano, non si dissolvevano, anzi, scrive “ crescevano”. E tutto questo fino a quando Wanda ( ci permettiamo di chiamarla così per il particolare legame spirituale che ci lega a lei) non trova la risposta, “ l’unica vera, che l’uomo può comprendere se stesso e gli altri solamente in Cristo”. Tale risposta, ricorda, venne come “ frutto di tante ore di preghiera e di meditazione, durante le passeggiate estive con il pastore di anime , don Karol Wojtyla”.
Ciò che colpisce è il modo in cui è avvenuto l’incontro, una modalità che riassume splendidamente il nesso imprescindibile tra sacerdozio e santità.  Wanda, nel corso della confessione, non si sentì dire: “ venga ad un incontro; nemmeno si sentì dire: “ venga da me”..No, don Wojtyla le disse: “ Vieni la mattina alla messa, vieni ogni giorno”. In questo invito è contenuta tutta l’essenza della santità di un sacerdote che, come ricorda sempre la dott.ssa Poltwaska, “ non voleva dare se stesso agli uomini, ma condurli a Cristo”.  Prima di tutto Cristo, prima di tutto l’affidarsi a Colui senza il Quale le risposte alle domande che tormentato l’uomo aprono voragini che alimentano inquietudini e disperazione. Affidarsi a Cristo significa vivere nella certezza che Dio è sempre accanto all’uomo riscattandone il male che, sulla Croce, ha voluto   redimere mediante il  Sacrificio del Figlio.
L’affidarsi è la misura dell’amore”, questo ha “imparato” Wanda Poltwaska  camminando lungo i sentieri del bosco, lungo il cammino di un’intera esistenza. E se l’” affidarsi è la misura dell’amore”, per i due amici – fratelli ha senso sperare, ha senso spendersi fino alla fine perché questo amore abbracci tutta l’esistenza nella sua drammatica e stupenda concretezza. Non è un caso che entrambi, ed insieme,  abbiano realizzato progetti, promosso iniziative, stimolato le coscienze, soprattutto nell’ambito della pastorale familiare e della tutela della vita, sempre e comunque.  Abbiamo già menzionato l’apertura di un consultorio familiare e  di un centro per la vita presso il palazzo arcivescovile di Cracovia, luoghi in cui famiglie in difficoltà potevano trovare un aiuto reale, concreto, ma altrettanto importanti erano i momenti di riflessione. Per comprendere è’ bene narrare un episodio, raccontato dalla stessa protagonista.  Una sera la dott.ssa Poltawska aveva organizzato  un incontro un per aiutare coppie in difficoltà. Mons. Wojtyla intervenne con parole che, nella loro semplicità, ebbero effetti forse insperati: « Dapprima provate a fare per voi stessi un programma minimo, non distruggete reciprocamente niente in voi, e dopo comincerete a costruire, ma per questo provate a pregare insieme. C’è solamente una via d’uscita da questa situazione, il cancello dell’umiltà. Che ognuno di voi si inginocchi e dica” E’ colpa mia”. Fino a quando direte: “ La colpa è tua”, non ci sarà via d’uscita». Queste parole incisero a tal punto sulle coppie presenti che la promotrice dell’iniziativa, pensando a quel primo incontro, non esita a parlare di “ grazia elargita”. Successivamente furono organizzate “ lezioni di etica matrimoniale che vennero poi incluse da Karol Wojtyla nell’Accademia Teologica Pontificia sotto forma di  Facoltà di Teologia della Famiglia…”. In gioco era, già allora, la salvezza della famiglia, anzi, come dice Wanda Poltwaska, la salvezza “della santità della famiglia”Da queste prime lezioni si è sviluppata una rete di persone qualificate per aiutare gli altri, quello che è stato giustamente definito il “ germe” del “Pontificio istituto per studi su matrimonio e famiglia”, inaugurato in una data speciale, il 13 Maggio 1981: anche in questa circostanza non vi è nulla  di casuale, vi è invece un  ulteriore sigillo di Dio, un sigillo con il quale la santità di un sacerdote è totalmente incardinata nella sequela di Cristo fino alla donazione di sé, fino, vorremmo dire, al martirio.
Ed allora, non possiamo non sentire nostre le parole vibranti della dott.ssa Wanda Poltwaska, parole che, come scriverà anni dopo Giovanni Paolo II, sanciscono la profonda unità tra sacerdozio e santità:
Mio grande Fratello, attraverso di te volevo amare Dio con tutte le forze, ringrazio Dio per la tua santità e per il tuo sacerdozio



giovedì 10 ottobre 2013

Due Santi, dono di Dio per il mondo intero

Orami è certo: Giovanni Paolo II sarà canonizzato insieme al Grande Betao Giovanni XXIII, il Papa che, fin da bambini, abbiamo imparato ad amare attraverso i ricordi dei nostri genitori e dei nostri nonni, il Papa sotto il cui pontificato molti di noi, figli spirituali di Papa Wojtyla, siamo nati.
Nonostante la nostra profonda devozione,  non è facile per noi credere che il “ nostro”Papa sarà proclamato Santo; anzi, tutto sembra quasi irreale, un sogno, ma è realtà, stupenda realtà.
 A distanza di soli nove anni il 30 Settembre vedremo ancora una volta alzare il telo sull’immagine di Giovanni Paolo II, ma questa volta una grande aureola contornerà il suo volto:tale piccolo segno sancirà  che Papa Wojtyla sarà veramente annoverato tra i Santi di Dio. Per tutto questo dobbiamo ringraziare, certo, Papa Francesco : Egli, nella sua lungimirante umiltà, riconosce che senza i suoi due predecessori, autentici Giganti della Fede e della Chiesa, non gli sarebbe possibile continuare l’opera di Evangelizzazione come Pastore della Chiesa Universale. Ma, soprattutto, dobbiamo e vogliamo ringraziare Dio per il dono di due uomini che hanno guidato la Chiesa con tutta la loro umanità, totalmente incardinata nel disegno di Dio e lo hanno fatto in un periodo storico che, non è esagerato definire “ tremendo”: la Guerra Fredda, le divisioni nel mondo, le ideologie imperanti, le contestazioni giovanili. Che dire poi dell’esiguità dei mezzi di informazione?...Un altro mondo. Eppure, questo è un autentico miracolo, hanno rappresentato per l’intera umanità la guida sicura, i testimoni a cui guardare, i maestri il cui unico spasimo era portare gli uomini a Dio.
Entrambi, infatti,  hanno speso la loro vita per affermare la dignità dell’uomo,  cioè il suo essere Immagine di Dio. Hanno difeso il povero, hanno accolto l’emarginato, hanno restituito forza al malato e abbracciato il prigioniero. Mai, neppure per un attimo, si poteva scorgere in loro l’adesione ad ideologie pauperistiche, a progetti filantropici o sociologici,  perché mai in loro la “ scelta degli ultimi” diventava una bandiera, appunto, un’ideologia da sbandierare. La loro scelta era per l’uomo, tutto l’uomo, qualunque uomo, perché la loro era la scelta di Dio. E Dio, nella sua ineffabile immensità d’ Amore, abbraccia tutti e nessuno esclude. E proprio per questo, la loro voce, anzi il loro grido, risuonava forte e vigoroso, quando si levava in difesa degli abitanti delle favelas o degli abbandonati nelle periferie delle metropoli, ma anche quando si levava, tra le indignate reazione di una certa intellighenzia, in difesa dei più deboli tra i deboli, il bambino mai nato: come non ricordare gli attacchi virulenti subiti da Giovanni Paolo II poco prima di essere colpito quasi mortalmente? Ma Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II non avevano paura neppure di  difendere il valore inviolabile e innegoziabile della famiglia, così oggi minata persino nelle sue fondamenta, nella sua stessa essenza. I due futuri santi erano consapevoli che una società che non difenda la vita fin dal suo concepimento, che non tuteli la famiglia, è destinata a perdere i suoi valori fondanti, quindi se stessa e la propria umanità.
Giovanni Paolo II non ha avuto paura di parlare forte e chiaro, pur sapendo che non applausi, ma critiche e incomprensioni lo avrebbero seguito, soprattutto da parte di ambienti paladini della cosiddetta “ modernità”, purtroppo non solo esterni alla Chiesa.
I Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno  aperto le loro porte e le loro braccia a tutti, senza distinzione; non hanno avuto  paura di “sporcarsi le mani”, mai alla ricerca del plauso o del cosiddetto “ politicamente corretto: Papa Giovanni non esitò ad incontrare esponenti del Soviet pur di garantire la Pace; Giovanni Paolo II non ebbe paura di incomprensioni e critiche quando decise il viaggio a Cuba dove celebrò la S.Messa alla presenza del dittatore Fidel Castro, pochi mesi prima ospite in Vaticano; per cambiare le sorti del Cile accettò di incontrare il dittatore Pinochet, scatenando le ire dei “ ben pensanti”. E non fu lui che rese fatto reale, palpabile, toccabile la “ trasfigurazione” del messaggio di S. Francesco facendo di Assisi il luogo dell’’autentica pace? Non ha riformato la Curia, ma ha “ riformato” il cuore dell’uomo e lo ha fatto seminando, senza la pretesa e la presunzione di vederne il raccolto. Dio ama chi semina e Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati eccezionali seminatori.
Ma c’è un altro aspetto, per nulla marginale, che colpisce e che dovrebbe far riflettere: la tenerezza e l’umiltà dei due futuri santi. Giovanni XXIII, con delicatezza e quasi con timidezza, abbracciava bambini, malati, sofferenti, carcerati. Che dire poi di Giovanni Paolo II? Non basterebbe un giorno intero per raccontare i gesti di un uomo che si è letteralmente consumato per  restituire dignità ad ogni uomo, Immagine di Dio. Mentre il mondo faceva della forza, della prepotenza, dell’arrivismo, del successo, spesso effimero, il proprio idolo, Giovanni Paolo II, allora nell’indifferenza generale, si chinava sui malati di Aids, sui malati di lebbra portando l’abbraccio di Dio. E questo non accadeva solo nelle grandi metropoli, ma anche negli sperduti villaggi asiatici ed africani. Ed è commovente constatare come, solo dopo la sua morte, tali gesti siano venuti alla luce o, comunque, se ne sia avuta una maggiore consapevolezza, segno questo di un’autentica umiltà, vissuta, possiamo dirlo, nel nascondimento.
Che incontrasse i grandi della terra, che compisse un gesto storico o che abbracciasse le piaghe di un lebbroso, Giovanni Paolo II rispondeva ad una chiamata: proprio come Santa Faustina, egli voleva diffondere la Misercordia di Dio, irradiarLa al mondo intero perché recuperasse se stesso. Nel libro pubblicato pochi mesi prima della sua morte, così scriveva: “ Dio sa sempre trarre il bene dal male, Dio vuola che tutti siano salvi e possano raggiungere la conoscenza della verità: Dio è Amore. Cristo crocifisso e risorto, così come apparve a suo Faustina, è la suprema rivelazione di questa verità”. E così concludeva pagine di intensa spiritualità, pagine di profezia: “ Nell’amore che ha la sua sorgente nel cuore di Cristo sta la speranza per il futuro del mondo. Cristo è il Redentore del mondo”.
Giovanni Paolo II, figlio spirituale di Santa Faustina, come lei mistico e totalmente chinato sull’uomo, sarà canonizzato nel giorno della festa dedicata alla Divina Misericordia, da lui stesso istituita. Non è una coincidenza, è il segno misterioso di una vita tutta innestata nel piano di Dio e del suo Amore. Il 27 Aprile 2014 sarà proclamato Santo, donato alla devozione universale. Anche noi Bresciani siamo chiamati a prepararci per questo grandioso evento d’amore: se sapremo viverlo con fede, se sapremo guardare a Giovanni Paolo II,  speciale apostolo della Divina Misericordia, allora, quanto si vivrà in quella memorabile giornata avrà un senso e le nostre vite ne usciranno arricchite nella certezza non solo di avere un altro grande intercessore presso Dio, ma anche un santo la cui esistenza continuerà a parlarci ed ad indicarci il cammino che conduce alla vera letizia. Non ci stancheremo di scriverlo: la nostra generazione, fra qualche mese, toccherà con mano la grazia che ha ricevuto, essere stata contemporanea di un santo, averlo avuto come padre e amico, come compagno di viaggio e maestro. E’semplicemente  grandioso e per questo non cesseremo mai di ringraziare Dio e la sua infinita bontà.





sabato 6 luglio 2013

Contemporanei di un Santo

“E così m’iscrive in Te la mia speranza,/ fuori di Te non posso esistere” ( Meditazione sulla morte)

Contemporanei di un Santo

Ormai è  ufficiale: Giovanni Paolo II sarà santo!! Il nostro cuore è lieto, la nostra gioia immensa e l’emozione indicibile!!
Otto anni fa, quando dall'immensa folle si alzò, imprevisto ed inedito, quel grido “ Santo Subito”, pochi, forse, credevano che un tale desiderio si sarebbe potuto concretizzare nell'arco di pochissimi anni. Eppure, nel 2011, a soli sei anni dalla morte, Giovanni Paolo II è stato proclamato Beato, e nei prossimi mesi,  sarà canonizzato. Un vero record, direbbe qualcuno. Ma, in questo caso, è improprio misurare  in termini casistici ciò che non è ascrivibile a logiche meramente razionali.
Perché Giovanni Paolo II  presto sarà proclamato Santo? Perché questo avrà luogo a pochi anni dalla morte? Innanzitutto siamo in presenza di un Segno e questo Segno non proviene da un giudizio degli uomini, ma di Dio: il miracolo, suggello divino che, per chi crede, costituisce l’”imprimatur” solenne, inequivocabile, definitivo.
Dio non valuta, non giudica, non definisce secondo  leggi umane, e, tanto meno, secondo sensibilità personali che, spesso, si riducono a misurare efficienza, efficacia e correttezza dell’operato. No, non sono questi gli “ occhi” di Dio, non sono questi i criteri del Padre.  Dante lo aveva già intuito al punto da collocare nel Regno Infernale figure irreprensibili o comunque “innocenti” secondo parametri umani, Papi innovatori e “ rivoluzionari”: Celestino V che preferì una vita eremitica al potere papale ( girone degli Ignavi),Bonifacio VIII, il Papa del Primo Anno Santo;  Francesca da Rimini, sostanzialmente vittima delle prepotenze del padre e del fratelli ( girone dei lussuriosi) sono solo alcuni degli esempi. Un pagano, per di più suicida, è invece designato “ guardiano” del Purgatorio e ad uno scomunicato ( Manfredi, figlio dell’Imperatore Federico II) viene affidato il compito di  indicare  il vero volto di Dio  (“Orribil furon li peccati miei;/ma la bontà infinita ha sì gran braccia,/ che prende ciò che si rivolge a lei”);  Cunnizza da Romano, donna nota per le sue  avventure amorose,  diventa, nel Paradiso, icona dell’amore, così come Raab, prostituta di Gerico . Ci siamo permessi di citare il Grande Poeta per dimostrare quanto sia vano cercare risposte rassicuranti a circostanze che decisamente sfuggono ad ogni categoria interpretativa, seppur  razionale. Abbiamo motivo di pensare che la prossima canonizzazione di Giovanni Paolo II rientri tra queste circostanze.  Noi, quindi, non abbiamo la pretesa di spiegare, di analizzare le ragioni di un processo così rapido, potremmo dire, di una santificazione “per acclamazione”, proprio come avveniva ai tempi di Dante , ma di un fatto siamo certi: la canonizzazione del “ nostro” Papa, accresce la responsabilità di quanti, anche per l’età, si considerano “ suoi figli”.
In  noi il ricordo del Grande Papa è ancora vivissimo, ne ricordiamo con estrema lucidità i gesti, le parole, gli atteggiamenti, quel suo sorriso capace di abbracciare tutto e tutti; la sua voce risuona in noi non come memoria d’archivio storico, ma viva, reale;  ricordiamo pure, con dolore, ma anche con fierezza, il suo sguardo vigoroso, profondo, intenso mentre il suo volto, il suo corpo sembravano divenire giorno dopo giorno un fardello troppo pesante.  Ora possiamo dire che siamo stati “ contemporanei” di un Santo che ha condiviso con noi una parte essenziale della nostra esistenza.  La Grazia concessa alla nostra generazione, enorme, forse unica, appare talmente straordinaria  da provocare un sussulto stupito, vertigini emozionali e spirituali.  Diciamo questo con tremore, consapevoli che un simile “privilegio” non ha senso se non si traduce in una responsabilità, se possibile,  ancora più cogente, impegnativa, ineludibile: a noi spetta il compito, ora più che mai, di essere testimoni della santità di Giovanni Paolo II, il che significa vivere secondo quell'anelito che portava Karol Wojtyla, giovane sacerdote e Vescovo, a “ dare del Tu” al Suo Signore, un “ Tu” che si trasfigurava in un amore accolto e donato da parte di un uomo costantemente immerso nell’ Amore di un Dio, così proteso verso l’uomo da non indietreggiare di fronte alla debolezza e alla fragilità umane “ E Tu, ogni giorno, torni a moltiplicare/ la mia impotenza,/ sottomettendo la Tua Infinità/ al mio fallibile pensiero” ( Canto del Dio nascosto); significa affidarsi a Dio, testimoniare la bellezza e la grandezza di quel “ Gesù confido in Te” su cui il Beato Giovanni Paolo II ha riposto tutta la sua esistenza totalmente ascritta dentro quel “ Totus Tuus”, ancora più tangibile nel momento dell’accettazione della Croce. 

Siamo chiamati, pertanto, non solo a fare conoscere la straordinaria figura di Giovanni Paolo II, il suo ancora poco diffuso insegnamento, ma soprattutto a vivere con pienezza la nostra “ figliolanza” nei confronti di colui che continua a esserci padre e amico. Non è una sfida, è una GRAZIA!!

lunedì 20 maggio 2013


Maggio, il Mese di Maria, il Mese del Totus Tuus

Parrocchia di Wadowice
Potrebbe sembrare anacronistico, forse inutile, ma ,pur in ritardo, desideriamo “ festeggiare” il “ nostro” beato, il nostro amico, colui che continua a segnare le nostre vite. Noi ne siamo certi: Giovanni Paolo II vive, anzi, di più, vive la pienezza della Vita come lui stesso scriveva nelle sue poesie, quando, ancora giovane, “ spasimava” per quell’Ultimo Incontro che gli avrebbe permesso di vedere Dio faccia a faccia. E così far memoria della nascita del Papa non può essere certo un atto fuori dalla storia, obsoleto…oggi ancora di più assume invece un valore profondo, in un certo senso, autenticamente più vero. Ed è bello constatare come tale anniversario  coincida proprio con il Mese di Maggio, il Mese di Maria. Quest’anno, poi, il calendario liturgico ha voluto che il 18 Maggio la Chiesa celebrasse la  Veglia per la Discesa dello Spirito Santo in mezzo a Noi!!! E’ meraviglioso.
La vita di Giovanni Paolo II, del resto ( lo abbiamo ripetuto spesso) è stata tutta segnata dalla Presenza di Maria e dal quella dello Spirito Santo. La sua parrocchia, quella in cui fu battezzato, quella in cui pregava prima di recarsi a scuola, era è dedicata alla Madre di Dio davanti alla cui effigie egli si inginocchiava fin da piccolo. A Lei, alla Madre, egli si consacrò totalmente e questo suo atto di fiducia immenso, indescrivibile, unico lo ha accompagnato per l’intera esistenza: la sua forza, il suo coraggio, la sua tenacia, il suo “ non aver paura” erano ancorati a quelle preghiere mattutine di un piccolo scolaro di Wadowice.
Abbiamo già ricordato quanto il padre abbia influito sul giovane Karol al quale insegnò il valore della preghiera, in particolare quella rivolta allo Spirito. Esito, testimonianza di una simile educazione erano quei momenti così straordinari in cui il Papa, ma ancor prima il giovane lavoratore, poi studente, quindi sacerdote, sembrava estraniarsi dalla realtà che lo circondava per immergersi in Dio, completamente in Lui. Chi lo ha conosciuto, chi gli è stato accanto ha potuto verificare tutto questo personalmente; non è un aneddoto, un fioretto, ma realtà. La sua carissima amica Wanda Poltawska ricorda che, al momento della Consacrazione egli “ teneva Dio tra le mani: sembrava lontano, come se fosse assente, con un volto diverso, con un’espressione diversa”. E, ancora la dott.ssa Poltwaska confida nel suo “ Diario” ciò che per molti appariva un mistero:La gente non lo sa, non può scorgere questa incredibile compattezze ricolma di Dio. Chiediamoci: da che cosa poteva derivare una simile compattezza? Non è facile rispondere, ma vogliamo pensare che la risposta risieda in qualche modo in quel vento che, inatteso, soffiò il giorno dei funerali del Papa, a conferma di un Mistero che aveva abbracciato l’intera esistenza di Giovanni Paolo II, un’esistenza totalmente “ in Dio” proprio perché illuminata totalmente,profondamente e carnalmente dallo Spirito d’Amore ( lo “ Spirito Infuso “ dei grandi Mistici) . Come scrive sempre la dott.sa Poltawska,  lo Spirito permette il contatto più profondo  perché Dio vuole darsi
Solo così poi possiamo forse comprendere il senso di quanto avvenuto in quel pomeriggio del 13 Maggio  1981( sempre Maggio!!!) quando la presenza di Maria si è rivelata in tutta la sua forza e sua potenza non solo salvando la vita del Papa, ma indicando la strada per noi cristiani: la Croce accettata e accolta per Cristo, Suo Figlio. Questa la testimonianza eccezionale resa dal Papa ferito e sanguinante in un pomeriggio del mese mariano…

mercoledì 1 maggio 2013


1 Maggio 2011 – 1 Maggio 2013: due con il Beato Giovanni Paolo II..Lo stupore continua

Quando, ad un anno dalla beatificazione, facevamo memoria dell’esperienza straordinaria vissuta il 1 Maggio 2011, mai avremmo pensato che, a distanza di dodici mesi, l’approvazione di un altro miracolo avrebbe in qualche modo alimentato le speranza di una prossima canonizzazione del Beato Giovanni Paolo II. Non sappiamo quando avrà luogo l’eccezionale evento, forse entro l’anno, forse tra due, non lo possiamo sapere, troppe sono le variabili, anche quelle a noi non note. Non importa.
Ci chiediamo: perché, a distanza di due soli anni dalla beatificazione, si parla già di una prossima canonizzazione? Perché, comunque vada, un sentimento di attesa si sta diffondendo tra i devoti, e non solo?..
Giovanni Paolo II, all’inizio del suo Ministero Petrino, non fu subito riconosciuto come “ Santo”: i suoi gesti, pur eclatanti, non avevano nulla che facessero presagire la presenza di santità in mezzo a noi. Certo, attirava i media un Papa che non rispettava il rigido protocollo vaticano, un Papa “ simpatico”, un Papa “della gente”, anche un po’ “ strano”, se vogliamo, per quei suoi modi così poco convenzionali. Per il resto, nulla di particolarmente nuovo, anzi: il suo esordio, con quel suo, allora ormai inusuale, “ Sia lodato Gesù Cristo”, non sembrava costituire certo un elemento di novità, oggi diremmo, “ rivoluzionario”. Persino quel suo sorriso così schietto, impetuoso, quei suoi modi così “ eccessivi” infastidivano qualcuno: “troppo da star”, si diceva.
La sua stanza da Cardinale
Negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi della sua vita, abbiamo però cominciato a percepire in lui qualcosa che prima sfuggiva, qualcosa che c’era sempre stato, ma che noi non vedevamo o non volevamo vedere. Abbiamo scoperto, a poco a poco, un uomo che viveva del Vangelo, per il Vangelo, con il Vangelo; cioè, Viveva di Dio, per Dio e con Dio in ogni istante della sua esistenza. Abbiamo già proposto alcuni esempi di questo suo” essere in Dio”. Oggi desideriamo proporre una particolare chiave di lettura.
Gesù ci invita ad essere poveri, semplici nello spirito e nei modi. Ebbene, Giovanni Paolo II, Papa della Chiesa universale, è stato protagonista di gesti ai più sconosciuti e, proprio per questo, di immenso valore. Dai documenti della postulazione sono emerse alcune testimonianze veramente eloquenti.
Nel 1992, a Pordenone, prima della Messa, uno dei collaboratori, preoccupato per il ritardo del Papa,  “ vide Giovanni Paolo II nell’antibagno, inginocchiato in preghiera appoggiato a un lavandino”. Un altro testimone ha raccontato che, mentre si trovava a Castel Gandolfo, “ entrò per sbaglio in un ripostiglio e si trovò di fronte al Papa assorto in preghiera”  [S. Oder, Perché è Santo, pag. 158].
In visita ad una famiglia a Castel Gandolfo
Come ricorda sempre Mons. Oder, postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione, “ la scelta di vivere in comunione con Cristo in nome della Verità coincise con un sempre più radicale orientamento all’essenzialità, alla povertà di spirito”. Totalmente fedele al “ Discorso della Montagna”, Giovanni Paolo II viveva la povertà come la “ condizione di chi spalanca il proprio cuore per accogliere la Buona Novella che annuncia l’irruzione del divino nel mondo”. Unico suo punto di riferimenti era Dio. In tal senso i beni materiali non erano demonizzati e la povertà non costituiva un “ habitus”. Suggeriamo la lettura del volume sopra indicato dove si possono trovare piccoli racconti, ma significativi.
Quando era cardinale, per esempio, era impossibile regalargli qualche indumento nuovo, perché subito lo regalava a chi ne aveva bisogno. Si racconta che gli amici, per fargli indossare camicie nuove, “queste prima venivano sporcate e lavate diverse volte in modo da farle sembrare usate”. E questo accadeva anche una volta eletto Papa. Testimonianze di questo tipo sono innumerevoli, ma ciò che colpisce è il fatto che sono rimaste praticamente sconosciute fino alla morte del Papa: la virtù non si esibisce, non si ostenta, altrimenti può diventare una forma du superbia. A proposito poi dell’appartamento in cui viveva in Vaticano, si ricorda come egli non avesse voluto cambiare i mobili, “ ormai consunti dal tempo”. Il Card. Dziwisz, testimone privilegiato, racconta che, di fatto, “ il suo appartamento personale consisteva praticamente nella camera da letto e da uno studiolo con una piccola scrivania e una poltrona”. E’ sufficiente osservare alcune fotografie scattate qualche anno fa per capire che siamo ben lontani da certi luoghi comuni con cui si descrivono gli appartamenti pontifici. Maria Antonietta Maciocchi, scrittrice ed intellettuale non certo cattolica, ma folgorata dal Papa, raccontò di aver provato un profondo stupore nel constatare che una semplicissima e comunissima lampada da studio,da lei offerta in dono, era stata collocata sul tavolo da lavoro di Giovanni Paolo II!!
E’ stupefacente notare come tutto questo fosse vissuto nell’assoluta normalità di un’esistenza tutta immersa nel Mistero di Dio, quindi nel Mistero dell’uomo. Vivere la povertà non era pertanto una scelta ideologica, l’adesione ad un progetto socio - umanitario, fosse anche filantropico e, ci permettiamo di ipotizzare, neppure un modo per testimoniare una determinata scelta ecclesiale: era, come ricordava il card. Ruini, segno di una straordinaria libertà interiore, “scevra da ogni velleità di protagonismo”, una scelta per essere “ Tutto di Cristo” fino alla totale spogliazione di sé per “ essere condotto anche dove lui non voleva”…Una povertà, un’umiltà vissute fino alla fine nella loro più cogente essenza.
Ecco, forse anche qui troviamo le ragioni di una santità che il mondo non ha subito riconosciuto, ma a cui oggi continua a guardare con cuore stupito e riconoscente.

martedì 2 aprile 2013


Beato Giovanni Paolo II, il tempo e l’eternità, la fede e il Concilio

Qualche mese fa, un giornalista sportivo spagnolo, per commentare il gesto calcistico di uno dei tre migliori giocatori al mondo, ricorse alla lezione di un autore latino, Seneca,  secondo il quale nello spazio di un secondo  si può cogliere lo spazio dell’eternità: il tempo, cioè, rimane sospeso in una dimensione che trascende le categorie spazio-temporali.
Le 21.37 del 2 Aprile 2005 segnano un tempo precisamente circoscritto dentro  parametri cronologici, ma pure li oltrepassano, proiettando l’evento in una realtà senza tempo, pertanto infinita ed eterna.
2 Aprile 2013: quando noi devoti del Beato Giovanni Paolo II ci fermeremo un secondo, un solo misero e insignificante secondo allo scoccare delle 21.37, sperimenteremo ciò che insegnava il grande pensatore latino: “ convertiremo l’istante nell’eternità”. Ciò è possibile perché Giovanni Paolo II vive nell’eternità, vive nello sguardo di Dio, mentre la sua morte, l’ora della sua morte ( 21.37) rimarrà scolpita indelebilmente nel nostro cuore, nonostante gli anni e la cronaca che travolgono tutto e tutti.
 Beato Giovanni Paolo II con un bambino malato
Quest’anno desideriamo ricordare Giovanni Paolo II proponendo alcune sue riflessioni inerenti alla fede, riflessioni che egli, da Cardinale, volle condividere con il suo popolo impegnato nel Sinodo Diocesano da  lui stesso istituito per  far conoscere, comprendere e approfondire gli esiti del Concilio Vaticano II ( iniziativa eccezionale se si pensa alle condizioni in cui operava la Chiesa in Polonia!!). Al Sinodo parteciparono tutte le componenti della società, soprattutto  laici e donne. Per aiutare i lavori e, in particolare, la diffusione dell’insegnamento della Grande Assise conciliare, il Card. Wojtyla offrì un contributo preziosissimo con il volume “ Alle fonti del rinnovamento, studio sull'attuazione del Concilio Vaticano II”.
Il card. Wojtyla, già nel I capitolo, chiariva il punto fondamentale, imprescindibile scaturito dal Concilio: la fede, il suo arricchimento che, scriveva “ non è nient’altro che la partecipazione sempre più piena alla verità divina”. Egli, così, rimarcava  la vera essenza della Chiesa, la sua autentica autorealizzazione, al di là di interpretazioni ermeneutiche offerte negli anni successivi, soprattutto in Occidente.
Con estrema lucidità, il futuro Papa chiariva in modo inequivocabile quale fosse l’orizzonte  a cui guardavano i Padri Conciliari: non l’oggetto della Fede, le sue Verità fondamentali, cioè“ in che cosa bisogna credere”, bensì l’essere cristiani, il suo significato e le sue implicazioni, “ che cosa vuol dire essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa”. Affermando questo, egli era consapevole che la questione riguardasse, prima di tutto, l’uomo e la sua fede, o, meglio, la fede radicata nella coscienza dell’uomo: solo questo radicamento avrebbe potuto determinare l’atteggiamento, lo stile di vita, la cultura.   
La fede, lungi dall’essere una astrattezza o pura dottrina, è l’essenza stessa dell’uomo inserito nella “ realtà soprannaturale” che, come scriveva  Karol Wojtyla, seguendo l’insegnamento conciliare,“ si modella e si sviluppa come frutto di un incontro, all'inizio del quale sta la rivelazione di sé da parte di Dio”. L’uomo, nella sua libertà, dono supremo del Suo Creatore, può rispondere a tale incontro, con tutto il suo “ dinamismo personale”che consiste nello  abbandono a Dio: “ questa è la vera dimensione della fede in cui non si tratta solamente di accettare un determinato contenuto, ma di accettare la stessa vocazione e il senso dell’esistenza” (cfr. Alle fonti del rinnovamento, pag.16).
Il Beato Giovanni Paolo II, padre del Concilio,uomo  la cui esistenza è stata una incessante preghiera in uno slancio d’amore contemplativo, ha incarnato in modo sublime l’essenza stessa dell’insegnamento conciliare: le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti, persino il suo registro stilistico, ma soprattutto il suo coraggio, la sua libertà sono il riflesso di quanto scriveva per il suo popolo all'indomani della chiusura dell’importante Assise.
Ecco  perché le 21.37, un istante per le lancette degli orologi umani, si sono “ convertite nell'eternità”!!

domenica 31 marzo 2013


"TU SEI"

La Provvidenza ha voluto che, anche quest’anno, i giorni della Santa Pasqua coincidessero con i giorni dell’agonia e della morte del Papa. Non si tratta di una coincidenza casuale, ne siamo certi, ma un segno eloquente, per quanto misterioso. In fondo, tutta la vita del Papa ha avuto come centro il Mistero pasquale, come dimostrato  non solo da numerose sue poesie, ma anche dalla sua stessa esistenza.
Forse, solo dentro tale Mistero è oggi possibile comprendere anche gli ultimi anni, gli ultimi mesi, gli ultimi giorni di vita del Beato Giovanni Paolo II; è possibile comprendere le ragioni delle mancate dimissioni, scelta che, indubbiamente, sarebbero state giudicate, allora, come oggi, ragionevole “atto d’amore”. Ma il Papa non seguiva la logica del mondo, per quanto spiritualmente profonda e razionale, ma quella di Dio, di un Dio crocifisso.

La Resurrezione è la più grande verità che la famiglia umana possieda, e, malgrado si tenti di occultarla, essa emergerà sempre vittoriosa e parlerà quale verità, la più rispondente all’esistenza umana”. Questo proclamava il beato Giovanni Paolo II nel 1974. In tali parole possiamo riconoscere non solo la sapienza del pastore, del maestro, ma soprattutto l’esperienza intima, oseremmo dire, personale di un uomo che, anni prima,  percorrendo la Via della Croce a Gerusalemme,  si era immedesimato con quello “ spazio”, “il luogo dell’offerta”, come lo definì in una poesia: da questo luogo egli si sentì completamente accolto, abbracciato, inserito in un Mistero più grande, non solo spettatore e visitatore, per quanto sapiente e consapevole, ma protagonista degli Eventi che, come lui stesso disse nel 1971, avevano sfidato le leggi della natura: la condanna a morte sulla croce e la resurrezione!!
S.Pasqua 2005
Cristo, morendo in croce, ha reso visibile all'umanità intera il senso della Speranza, la sua ragionevolezza, la sua potenza. “ Egli ha aperto negli uomini uno spazio alla nascita, / ha rivelato in loro uno spazio di vita/ che sovrasta alle correnti del passano,/ che sovrasta alla morte”( Meditazioni sulla morte). In altre parole, ha rivelato l’eternità della sua creatura che neppure la crudezza del dolore potrà mai deformare e annichilire. Anzi, il dolore, la sofferenza, anche quella deformante, persino la morte, costituiscono l’essenzialità di un Mistero per cui è dato all'uomo di “ passar nella vita”. In un tempo in cui si parla molto di “ essenzialità”, Giovanni Paolo II ne aveva colto il suo reale ed inequivocabile significato: abbracciare la Croce, aderire ad essa, radicarsi in essa, perché da essa sola si rivela l’autentico destino dell’uomo. La Croce è l’Amore di Dio per ognuno di noi, rifiutarla significa rinunciare a Questo Amore senza limiti di Colui che è Misericordia. E Giovanni Paolo II non l’ha rifiutata!!
Ritornare all'essenziale non significa, quindi, un “ cambiamento di stile” o, come oggi va di moda dire, mirare ad una maggiore sobrietà esteriore. No, significa essere Tutto di Cristo al punto da poter dire: “ TU SEI,/ e dunque ho un senso, e scivolare nella tomba,/ passare nella morte,/ disfarmi nella polvere di irripetibili atomi/ - è per me parte della Tua Pasqua”. Vivere con una certezza così profonda, rende l’uomo “ compagno del Mistero”, avvinto dal Suo Amore” che supera ogni fatica, ogni difficoltà, ogni povertà umane. Dare del “ TU” ad un DIO che, per amore ha patito, condannato e vilipeso dalla sua stessa creatura, da Lui stesso salvata e redenta è la vera Rivoluzione per l'uomo di oggi, così solo e rassegnato: questo ha testimoniato, questo ha reso visibile e tangibile il Beato Giovanni Paolo II il 30 Marzo 2005, quando, nella sua ultima “udienza”, ha sublimato l’insegnamento di una vita, condiviso con noi, suoi figli,  fino alla fine.
Dare del " Tu" a Dio- Amore è ciò che auguriamo a tutti per vivere la S. Pasqua secondo la sequela dei Santi nostri amici, in particolare del Beato Giovanni Paolo II, nostro speciale protettore.

domenica 24 febbraio 2013


La potenza evangelizzatrice di una tracheotomia

In queste ore, otto anni fa, il mondo assisteva attonito ad una nuova tappa del Calvario che, già da lungo tempo, il Papa stava percorrendo. La tracheotomia, operazione resasi inevitabile, avrebbe  impedito a Giovanni Paolo II di parlare: da quel momento, infatti, non poté più comunicare, il silenzio sembrò scendere sulla sua missione e sul suo Ministero.
Che altro avrebbe potuto offrire un Papa, non solo in sedia a rotelle, ma addirittura senza voce? Come risponderebbero i più, oggi? Non lo possiamo sapere, ma, alla luce degli ultimi eventi, quanto meno manifesterebbero le loro perplessità e i loro dubbi sull’efficienza, e sull’opportunità di un Papa con un foro nella gola. In realtà, mai come allora, uomini e donne, credenti e non, compresero, anzi, videro con i propri occhi la forza della fede, vissuta e incarnata in un uomo senza voce. La frase scritta dopo l’operazione, “ che cosa mi avete fatto..Totus Tuus”, sintetizzava la posizione di un uomo, di un Papa che stava aiutando tutti noi a vivere ciò che è la nostra quotidiana fatica, il nostro umanissimo desiderio di “allontanare da noi il calice” e di “ scendere dalla Croce”. Quante persone anziane o malate dicevano: il Papa mi aiuta a sopportare la mia infermità, la mia vecchiaia!! Quanto coraggio e forza ha donato ai più deboli, ai più emarginati, ai più sofferenti!!! Proprio nell’oro della debolezza e dell’infermità.
Non ha potuto gestire la Curia, non ha potuto affrontare con rigore le questioni della Chiesa, ma, proprio nel momento in cui non poteva far tutto questo, si è rivelato ancora più profondamente evangelizzatore e testimone dell’Amore di Dio per l’umanità.
La domenica successiva l’operazione, il Papa volle affacciarsi dalla finestra del Gemelli, un gesto oggi certamente incomprensibile e, in qualche modo, incredibile, inimmaginabile.  Noi ci sentimmo confortati, il “ padre” voleva, doveva stare con i suoi figli nel momento più doloroso della sua vita e noi volevamo stare con lui, non ci interessavano altre questioni, indubbiamente “ più grandi di noi”, ci avrebbero pensato gli alti prelati, tutti, nessuno escluso ( purtroppo, questo è vero, non fu proprio così!!). Lui era ancora tra noi, questo importava, mentre sempre di più “risuonava”, con un vigore sconvolgente, la Verità che egli stesso aveva annunciato e insegnato camminando lungo le strade del mondo e parlando ad ogni latitudine.  
La tracheotomia eseguita la sera del 24 Febbraio, si rivelò un potente strumento di evangelizzazione in quella Quaresima di otto anni fa…quale miglior catechesi per prepararci a vivere la Santa Pasqua di quell’anno? Sì, la tracheotomia del Papa fu una grazia per la Chiesa e per il Mondo!!

martedì 12 febbraio 2013


“La mia sofferenza mi ha fatto sentire vicino al Santo Padre, ed io lo prendo come un modello nelle mie sofferenze. E’ stupendo vedere che si spende non soltanto del lavoro, nei viaggi, nei discorsi, ma anche nella sofferenza, umile e silenziosa, per essere vicino a Gesù” [ Card. Wan Thuan, 13 anni in carcere per aver testimoniato la fede in Dio]

 Ieri la Chiesa ci ha invitati a far memoria della festa dedicata alla Madonna di Lourdes ed insieme ha celebrato la Giornata Mondiale del malato, istituita dal Beato Giovanni Paolo II.
Più che mai in questi giorni appare come vero “scandalo”, “lo scandalo della Croce”, la testimonianza di  un Papa che, forte della sua fragilità, ha testimoniato al mondo intero il valore della malattia, l’inestimabile potenza dell’offerta totale di sè: egli, lo abbiamo scritto molte volte ( ma quale attualità, oggi!!!), privato della parola, dei movimenti, spogliato di tutto, sfigurato nel volto e nella carne, ha seguito il Suo Maestro fino alle estreme conseguenze. Per lui, essere di Cristo, appartenere a Cristo significava abbracciare la Croce in un totale slancio d’amore rivolto a Dio e ai fratelli che Dio Stesso gli aveva affidato.
In un mondo in cui tutto è giudicato e valutato in base all’efficienza e al vigore fisico, il Beato Giovanni Paolo II, per qualcuno Papa non rivoluzionario e “ moderno ( in quanto non “dimissionario”), con la sua  sconvolgente e radicale sequela di Cristo, ha rappresentato e rappresenta un vero “ segno di contraddizione”: la Croce, Via di salvezza, dono d’amore, dono di gioia e letizia.
 Sì, il Beato Giovanni Paolo II ha vissuto e testimoniato fino in fondo la Bellezza della Pasqua, la potenza dell’Amore. La sua testimonianza, nella giornata dedicata alla Madonna di Lourdes, ne siamo certi, continuerà ad illuminare e confortare quanti soffrono nel corpo e nello spirito, continuerà a parlare anche ad un’umanità che, sempre di più, sembra abbagliata dall’efficientismo razionale e pragmatico.
Scriviamo questo nel rispetto della libertà di ogni  scelta compiuta certamente per amore della Chiesa