lunedì 24 dicembre 2012


Il Mistero del Natale: nel visibile l'Invisibile

Se l’amore tanto più è grande quanto più è semplice,
se il desiderio più semplice sta nella nostalgia
allora non è strano che Dio voglia
essere accolto dai semplici
da quelli che hanno candido il cuore
e per il loro amore non trovano parole.

Ed Egli stesso nell’offerta
c’incantò nella sua semplicità,
la povertà, la mangiatoia, il fieno.
La Madre, allora, sollevò il Bambino
e lo cullava tra le braccia
e nelle fasce Gli avvolgeva i piedi.
Miracolo – miracolo - miracolo!
quando proteggo Dio con la mia umanità,
da Lui protetto col Suo amore,
protetto col Suo martirio.


Giovanni Paolo II, come testimonia il suo segretario, viveva il Natale quasi immedesimandosi nel Mistero dell’Incarnazione;egli infatti, ogni giorno, ma in modo particolare la Notte di Natale,contemplava con cuore stupito la Nascita di Gesù, il “ Redentore del cosmo e della Storia”.
Questo suo “ mettersi in adorazione”, questo suo contemplare il Mistero,  in non poche occasione  si traduceva in una sorta di visione, propria dei poeti e dei mistici. I poeti, è bene ricordare, “ spiegano” gli eventi ridando loro la forza vitale, il senso reale e più profondo,quello che spesso sfugge nell’ abitudine dei gesti e delle mille parole, necessarie, ma non per questo sempre efficaci.
Di fronte alla Culla, di fronte allo sguardo di una Madre che “ sollevò il Bambino e lo cullava tra le braccia e nelle fasce e gli avvolgeva i piedi”, Karol Wojtyla, quindi,non poteva  che gridare “ Miracolo-miracolo-miracolo”. Ed il miracolo è il Mistero di un Dio che non ha avuto paura dell’uomo, si è fidato di lui a tal punto da accettarne la protezione; il miracolo è il Mistero di un Dio dal quale l’uomo viene “ protetto con il Suo, protetto col suo Martirio”.
Quando l’Arcivescovo Wojtyla celebrava a mezzanotte la S.Messa di Natale all’aperto, perché le autorità si opponevano alla costruzione della Chiesa, in fondo condivideva il medesimo stupore con la sua gente la cui condizione di disagio, di umiliazione rendeva ancora più tangibile e reale la nascita del Redentore. Anzi, il Pastore, poteva infondere ai suoi figli la speranza radicata nella certezza dei “ doni che solo Dio può dare”. Egli era credibile proprio perché era lì, la notte di Natale, al freddo polacco e non nella bellissima cattedrale del Wawel…
E nel 1979, nella sublime Basilica di S. Pietro, le parole del Papa facevano trasparire lo stesso stupore, la stessa letizia, la stessa certezza: Dio “ ha manifestato il proprio compiacimento nell’uomo, “ spesso schiacciato” da un destino che vuole costruirsi autonomamente, come se Dio non ci fosse, “ prigioniero di un tale destino, spesso vicino alla disperazione, minacciato nella coscienza del significati della propria umanità” . Eppure Dio, diventato uomo, si è fidato della nostra umanità, si è fidato, come amava dire il Beato Giovanni Paolo II “ di me e di te”. Compiacersi significa alla fine questo: condividere la gioia, condividere il palpito del suo Amore perché l’uomo, come disse Mons. Wojtyla nel 1968, “possa superare se se stesso” non in virtù della grandi scoperte scientifiche e tecnologiche,non per i successi ed i record umani, ma per il suo “ diventare Figlio di Dio che venne all’incontro con le aspirazioni che sono impresse nell’uomo: aspirazioni di oltrepassare se stesso, di ottenere di più, di essere ancora di più” [ 25 Dicembre 1968]
Quattro mesi prima di morire, nel suo ultimo Natale tra noi, il Beato Giovanni Paolo II, con lo sguardo ormai volto nell’abbraccio dell’Ineffabile, con la stessa forza, lo stesso vigore, la stessa limpidezza che 26 anni prima colpirono il mondo,ha  voluto condividere con l’intera umanità il mistero della sua vita, della nostra vita: IL REDENTORE DELL'UOMO, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia.

Christus natus est nobis, venite, adoremus!
Cristo è nato per noi, venite, adoriamo!
Veniamo a Te, in questo giorno solenne,
dolce Bambino di Betlemme,
che nascendo hai nascosto la tua divinità
per condividere la nostra fragile natura umana.
Illuminati dalla fede Ti riconosciamo
come vero Dio incarnato per nostro amore.
Tu sei l’unico Redentore dell’uomo

BUON NATALE

sabato 8 dicembre 2012


Nella vita e nella morte Totus Tuus mediante l'Immacolata

Figlio del mio amore!/ Momento che continua a dilatarsi/ e in sé trasforma tutta la mia vita…./ Questo momento, di tutta la vita, dacchè lo conobbi nella parola, da quando divenne mio corpo, nutrito in me col mio sangue,/ custodito nell’estasi-/ cresceva nel mio cuore in silenzio, come Nuovo Uomo, tra i miei stupiti pensieri e il lavoro quotidiano delle mie mani”…[ Karol Wojtyla, Crescono in me le parole]

Così Giovanni Paolo II scriveva nel suo testamento, affidando tutto se stesso, in particolare la sua stessa morte, a Dio. Nel 1995, , riferendosi ad uno striscione con la scritta "L'Immacolata vincerà" innalzato da un gruppo di pellegrini, il Santo Padre aggiunse: “e poi, anche io sono convinto che l'Immacolata vincerà”
Tutta la vita del Beato Giovanni Paolo II  è stata plasmata e forgiata dal Mistero dell’Immacolata Concezione la cui devozione non solo era legata alla scoperta del Trattato di S. Luigi di Monfort, ma anche alla grande testimonianza del Card. Hlond, Arcisvecovo di Varsavia e Primate di Polonia: l’alto prelato, in punto di morte, mentre i carri armati invadevano Varsavia,diede speranza al suo popolo con una breve, ma quanto mai profetica frase:  “la Salvezza, se verrà, verrà con Maria”. Giovanni Paolo II amava ricordare questo episodio che tanto segnò la sua esistenza.
Tale era il legame con Maria Immacolata che mai volle  rinunciare a recarsi da Lei nel giorno in cui si fa memoria della Sua Immacolata Concezione. Sempre, tutti gli anni, si è inginocchiato davanti ai Lei in Piazza di Spagna e, questo, non certo per rispettare una tradizione romana, cara ai Romani. No, in lui vi era un bisogno fisico di incontrarsi con la Madre, anche quando, a 4 mesi dalla morte, non poteva più camminare e la sua voce era quasi impercettibili; anche quando una semplice e breve preghiera sostituiva i più approfonditi e apprezzati insegnamenti teologici!! Ma quanta intensità in quelle suppliche, in quel moto di affidamento totale con cui riconsegnava tutto e tutti a Lei, alla Madre!!

In un’omelia tenuta nel 1959, un giovane sacerdote, parlando dell’Immacolata Concezione, spiegò che non si trattò solo di un “ privilegio”, bensì anche di un “ anticipazione del ruolo che la Madre avrebbe svolto accanto al Figlio”. In un certo senso, spiegava sempre il giovane sacerdote, era necessario che Maria concepisse senza peccato anche per “ occuparsi un modo perfetto e universale dell’altrui redenzione, come richiedeva la vocazione della Madre del Redentore” . Maria, ricordava don Karol, concependo Suo Figlio è stata oggetto della Grazie di Dio, cioè dell’’intervento divino nella sua vita. Ella, Immacolata, è stata totalmente abbracciata dall’Amore di Dio, anzi, ne è diventata a tal punto parte da divenire ella stessa co-redentrice. Maria non ha dovuto affrontare la lotta interiore, conseguenza del peccato originale, ma questo, affermava don Karol, non significa che a Lei non le fu risparmiato il travaglio proprio della santità e l’eroismo ad esso collegato; travaglio ed eroismo avuti non tanto nella lotta con se stessa, quanto nell’inserimento attivo nell’opera redentrice del Figlio”.
L’’unicità dell’esperienza della Madre di Dio non rappresenta un evento estraneo all’uomo, una realtà lontana e intangibile; in realtà, notava don Wojtyla, proprio da . quel “ Fiat” pronunciato davanti all’Angelo, noi possiamo fermare “ lo sguardo sulla nostra vita e sul ruolo svolto dalla Grazia”. La Madre di Gesù, sembrava ricordarci un giovane sacerdote, illumina la nostra stessa esistenza, ci indica la Presenza della Grazia che realizza e plasma la Bellezza stessa della creatura. A noi è chiesto “solo” di accogliere questo Dono come Maria ci continua ad insegnare con il suo amore di Madre. Si comprende allora perché il beato Giovanni Paolo II, discepolo del Primate di Polonia Card. Hlond, ripeteva, spesso con lo spasimo del profeta, che la “ Salvezza verrà solo con Maria”. Tutto  riconduce a Lei: il destino dell’umanità e della Chiesa!!!

mercoledì 21 novembre 2012


Un Papa e l’Italia

Il 14 Novembre il Parlamento ha voluto ricordare un evento che non è esagerato definire epocale.
Il rapporto tra le Istituzioni dello Stato Italiano e quelle della Chiesa ( nello specifico, lo Stato del Vaticano),  nel corso della loro lunga storia è stato segnato da numerose e gravi conflittualità, non raramente causa di ferite profonde e laceranti. Certamente la “ Presa di Porta Pia ( 20 settembre 1870) sancì di fatto la fine del potere temporale della Chiesa, ma anche l’inizio della fase forse più drammatica di una plurisecolare disputa che aveva coinvolto, da una parte, la Chiesa e, dall'altra l' Impero, Comuni, Signorie prima, e, quindi lo Stato italiano.
In fondo, al di là della cosiddetta “ questione romana”, anche nel corso della seconda metà del XXI non sono mancate incomprensioni . Forse il Trattato  Stato – Chiesa firmato nel 1984 ha, almeno in parte, chiarito alcuni aspetti fino ad allora fonte di accese discussioni ed equivoci. La premessa era necessaria.
Quando il Papa Giovanni Paolo II, il 14 Novembre 2002, ha fatto il suo ingresso nell'Aula di Montecitorio, sede del Parlamento italiano, non pochi, allora, compresero la straordinarietà dell’evento. Per quanto da tempo i rapporti tra Stato e Chiesa fossero sensibilmente migliorati, la presenza del Papa, Capo anche dello Stato del Vaticano, rappresentava simbolicamente l’avvenuta ricucitura di una ferita che per troppi secoli aveva lacerato la società italiana. In quell'occasione qualcuno fece notare, non a torto,la nazionalità del Pontefice che stava facendo il suo ingresso nel cuore delle Istituzioni Italiane, il Parlamento, simbolo della sovranità nazionale: un non Italiano, per di più Polacco. Per chi crede nulla avviene casualmente; un disegno guida gli eventi della Storia, sempre e comunque. Forse solo un Papa straniero, libero da quei “lacci” costituiti da un passato, forse anche un presente, glorioso, ma anche ingombrante, poteva presentarsi davanti ad un Parlamento per lanciare un messaggio alto e universale. Non solo: Giovanni Paolo II, provenendo da una Nazione in cui la Chiesa era sempre stata motivo di coesione di un popolo, una Chiesa che si identificava con la stessa Nazione e la cui nascita coincide con il suo “ battesimo”, più di chiunque altro aveva autorità e credibilità!!

Giovanni Paolo II che già allora era considerato il “ Papa di tutti”, anche del suo nemico di sempre “ Marco Pannella” ( significativo il saluto tra i due, per nulla di circostanza!!) si dimostrò ancora una volta profetico nella sua lucida e appassionata disamina del passato, del presente e del futuro.

Passato

"Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l'identità sociale e culturale dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo”

Il Papa ha ribadito  che la civiltà Roma, con il suo patrimonio culturale e morale, con la ricchezza del suo pensiero politico e giuridico, ha posto le basi , le fondamenta di quell’humanitas il cui compimento si sarebbe manifestato con l’avvento del cristianesimo. Già i Romani, infatti, non solo avevano sentenziato che ogni diritto ha come riferimenti l’uomo, ma avevano posto la conseguenza politica di tale convinzione:la res publica ( la cosa pubblica)  deve costituire la vera ed unica finalità di quanti operano nell’ambito politico. Cicerone, il grande oratore romano, definisce “ beati coloro che “hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria” ( Somnium Scipionis). Una lezione tutt’altro che  anacronistica!!
D’altra parte, solo con il Cristianesimo la visione dell’uomo, quindi dei suoi diritti, ha trovato la ragione ultima e definitiva, capace di offrire una risposta totalizzante al bisogno di dignità insita nell’uomo di ogni tempo e spazio geografico.

Presente

 “Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall'opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all'edificazione del bene comune della Nazione”

Le sfide che il papa allora scorgeva con impressionante chiarezza continuano ad interpellare tutti noi. La democrazia, Giovanni Paolo II lo sapeva bene, non è un punto d’arrivo, ma di partenza. I conflitti politici, la corruzione, la crisi dei valori, un errata concezione della libertà, la condizione della giustizia e delle carceri, la denatalità: il Papa non ebbe allora timore di denunciare tutto questo. Non era un idealista e neppure un ingenuo e conosceva al tal punto i problemi dell’Italia da voler elevare una preghiera per il Paese che tanto amava. Ma, lo sappiamo bene, il Papa non si chiudeva in un laconico pessimismo, in visioni “ apocalittiche”, piuttosto indicava la strada da seguire per ridare a tutti noi Italiani, ma non solo, il coraggio di lottare per il nostro futuro

Futuro

“E’ necessario stare in guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole nazioni”

Un profeta non di sventura, ma un padre a cui stanno a cuore i suoi figli, prima di tutto, dimostra fiducia, dona speranza, non sermoni. La fiducia manifestata da Giovanni Paolo II non aveva però il sapore del paternalismo  né era fondata su principi astratti: egli, infatti, davanti ai parlamentari parlò di “una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi”, unendo così passato, presente e futuro.
 L’azione politica,come già affermavano gli antichi, è tesa  infatti alla realizzazione del “ bene comune” ; in un certo senso si giustifica solo in una prospettiva di “ cooperazione solidale” attraverso cui è possibile affermare la dignità non solo del cittadino, ma soprattutto della persona in quanto Immagine di Dio. Giovanni Paolo II, nel ricordare questa verità, sollecitava i presenti a non considerare l’esistenza umana come un coacervo di eventi casuali o dettati solo da una cieca necessità, secondo la lezione di Machiavelli.Egli, piuttosto, indicava la presenza di una “ logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli"
Ed appunto a tale “ logica morale” il Papa si richiamava quando, citando una sua  Enciclica dal valore profetico, individuava  il “rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità”. Ed allora, per  Giovanni Paolo II la “ logica  morale”, lungi dall’essere un mero codice adattabile alle circostanze ed ai tempi, trova la sua ragione più profonda e duratura nella “verità ultima” , quella Rivelata da Cristo e dal suo Amore donato all’umanità. Il Papa, con una lucidità impressionante e un ‘ audacia propria dei veri profeti, non ebbe allora il timore di affermare che “se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l'azione politica, le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia"!!Chi, più di Giovanni Paolo II, avrebbe potuto pronunciare simili parole?

Cosciente delle grandi sfide che avrebbero impegnato l’Italia e il mondo, il vecchio Papa, concludendo il suo discorso, volle allora  lanciare un monito, il suo lascito culturale, morale e spirituale: “Per questa grande impresa, dai cui esiti dipenderanno nei prossimi decenni le sorti del genere umano, il cristianesimo ha un'attitudine e una responsabilità del tutto peculiari: annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione. L'Italia e le altre Nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace, non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni. Illustri Rappresentanti del Popolo italiano, dal mio cuore sgorga spontanea una preghiera: da questa antichissima e gloriosa Città - da questa "Roma onde Cristo è Romano", secondo la ben nota definizione di Dante (Purg. 32, 102) -chiedo al Redentore dell'uomo di far sì che l'amata Nazione italiana possa continuare, nel presente e nel futuro, a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale e spirituale del mondo intero”.
Le parole di un profeta, parole quanto mai attuali in un periodo di grave smarrimento, di incertezza, di rassegnazione. 

mercoledì 31 ottobre 2012


I  santi non invecchiano praticamente mai,  essi non  cadono mai in «proscrizione». Essi restano  continuamente i testimoni della giovinezza della Chiesa. Essi non diventano mai personaggi del passato, uomini e donne di «ieri». Al contrario: essi sono sempre gli uomini e le donne di «domani», gli uomini dell'avvenire evangelico dell'uomo e della Chiesa, i testimoni «del mondo futuro». (Lisieux, 2 giugno1980 )
 

I santi danno un segno, lasciano un segno del loro passaggio sulla terra. ..I santi sono sempre delle meraviglie di Dio. Essi sono l'incessante messaggio che Dio manda a noi tutti perché tutti siamo chiamati alla santità (Ars  6 ottobre 1986)


Pellegrinaggio amicibrescianiGPII, 24.08.2010
24 Agosto 2010, il nostro pellegrinaggio raggiunge una meta assolutamente impensabile solo poche settimane prima. Con trepidazione percorriamo la famosa via Franciska dove si trova l’Arcivescovado. Quante volte avevamo visto in TV quell’edificio divenuto così familiare!! Ora  stiamo addirittura per varcarne la soglia.Ma prima solleviamo lo sguardo per “incontrare” quello del Papa: una grande gigantografia collocata sulla “ sua” finestra, quella da cui si affacciava per dialogare con la sua gente, con i suoi giovani, accoglie i pellegrini quasi per indicare il protrarsi di una storia che non ha frontiere, non ha limiti. Saliamo quindi le scale che ogni giorno il Card. Wojtyla percorreva, spesso trafelato e “ di corso”, atteso dal suo popolo, in una parrocchia di città o campagna, oppure da un funzionario del governo, inconsapevole della sfida che, da lì a poco, avrebbe dovuto sostenere. Infine, si apre davanti a noi una porta che mai avremmo pensato di oltrepassare, la porta della cappella privata, il luogo da cui tutto ebbe inizio. Spinti da una forza indefinibile, non possiamo fare altro che inginocchiarci, sovrastati da un’emozione e da una letizia indicibili. “Scorrono di fronte a me, in questo momento, le immagini di quell’ormai lontano giorno, quando di mattina presto mi presentai nella residenza degli Arcivescovi di Cracovia, in via Franciszkanka, per ricevere l’Ordinazione sacerdotale, accompagnato da un piccolo gruppo di parenti e amici. Con emozione mi rivedo steso sul pavimento della cappella privata del Principe Metropolita; odo il canto del “Veni Creator” e delle Litanie dei Santi; attendo l’imposizione delle mani; accolgo l’invito a proclamare la Buona Novella, a guidare il Popolo di Dio, a celebrare i divini misteri. Sono ricordi incancellabili, che rivivo in questo giorno con indicibile gratitudine verso il Signore. Quale grande amore ci ha dato il Padre!: un amore che ci trasforma e ci spinge alla santità! La santità è vocazione universale rivolta ad ogni battezzato”. [ 1 Novembre 1996]. Ecco, noi ci troviamo in quella cappella e camminiamo lungo quel pavimento che, silenzioso, ha assistito alla “ trasformazione” di un  uomo divenuto tutto in Cristo proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di tutti i Santi, prefigurazione di un Disegno che oltrepassa la misura della storia  e  dell’uomo stesso.
In questo giorno così speciale, desideriamo lasciare la parola ad un giornalista-scrittore la cui storia ha in sé qualcosa di incredibile. Domenico del Rio, noto vaticanista, negli anni ’80 espresse non poche perplessità in merito alla figura del Papa Giovanni Paolo II nei cui confronti non risparmiò toni polemici, se non aggressivi. Contestava in particolare quelle che lui definiva “ forme trionfalistiche”, secondo lui, poco coerenti con l’immagine di quella “Chiesa umile e povera” proclamata dall’Assise Conciliare.  
Lo stesso giornalista, a distanza di anni, volle così  raccontare e commentare quanto vide in Piazza S. Pietro il 1 Novembre 1996.


«Dio è passato sui teleschermi nel giorno di Ognissanti. Abbiamo visto Dio, per un attinto, sul volto di Karol Wojtyla. È stato nel momento in cui, nel suo discorso, alla messa in San Pietro, il Papa si è proiettato dal tempo nell'eternità e si è estasiato già ora nella contemplazione del volto di Dio. Abbiamo visto il rapimento mistico di un uomo che svelava agli occhi del mondo la dolcezza e lo spasimo di essere sedotto da Dio « Tu mi hai sedotto, Signore» diceva il profeta Geremia. Doveva essere così per chi guardava il volto dei grandi mistici

Karol Wojtyla, col capo chinato, gli occhi socchiusi, proiettato nel futuro dell'eternità narrava quasi con un sussurro nella voce l’incanto  della visione del suo Signore: «Lo vedremo così come egli è, lo vedremo faccia a faccia, e lo vedremo quanti ci hanno accompagnato lungo il pellegrinaggio terreno».Sul volto immobile del Papa è passata per un momento quasi l'orma fisica di Dio. «Sono un viandante sullo stretto marciapiede della terra», ha cantato un giorno Wojtyla, «e non distolgo il pensiero dal tuo Volto, che il mondo non mi svela». Un giorno, in India, ha rivelato: «Quello che desidero raggiungere, quello che mi sforzo e mi tormento di raggiungere è vedere Dio faccia a faccia. Per questo vivo, mi muovo, esisto». C'era una messa, una grande messa, in San Pietro nel giorno di Ognissanti, con canti, suoni, ricordi, emozioni. Dio era certamente anche lì nei canti e nei suoni, ma per gente come noi, assuefatta a infiniti rumori e celebrazioni, Dio forse ci sarebbe sfuggito. L'abbiamo colto, invece, nel volto e nelle parole sussurrate di Wojtyla. Forse Dio è arrivato cosi come era apparso al profeta Elia sul monte Oreb, non in un vento gagliardo, non nel rumore del tuono, non nel fuoco del lampo, ma «nel fievole mormorio, nel grande silenzio». Ed Elia si era coperto il volto col mantello e, prostrato a terra, aveva adorato il Signore.
Nel mattino del giorno di Ognissanti, ci siamo prostrati a terra. Il volto di Wojtyla ci ha svelato quello che egli ha cantato in una sua poesia:”Dio venne fin qui, si fermò a un passo dal nulla, ai nostri occhi vicinissimo”».



Nel proporre questa preziosissima testimonianza, desideriamo ricordare anche Domenico del Rio, colui che  forse ha compreso, più e prima di molti altri, il cuore e la santità del Papa  Beato

lunedì 22 ottobre 2012


Beato Giovanni Paolo II

Oggi, anche se la nostra Diocesi non include nel suo calendario liturgico la memoria del beato Giovanni Paolo II, per noi è FESTA: ci uniamo quindi spiritualmente a tutti i nostri amici, non sono pochi, che nel mondo ricordano il Papa  beato attraverso varie iniziative. E’ infatti stupefacente constatare come in molte diocesi il pensiero e la preghiera siano oggi rivolti al Papa beato, segno certo di una devozione capace di varcare ogni barriera e confini. E’ notizia di qualche giorno fa:  negli Stati Uniti  la memoria liturgica è stata inserita nel calendario delle diocesi statunitense; questo vale per le diocesi del Gautemala, del Brasile, del Messico, mentre le reliquie saranno venerate a Lourdes. Per quanto riguarda l'Italia,  non possiamo dimenticare le iniziative dei nostri amici abruzzesi, siciliani, ovviamente laziali…Potremmo dire un mondo, il mondo che Giovanni Paolo II ha amato e per il quale si è speso fino alla fine. Un dialogo che continua, reso tangibile da un progetto particolarmente significativo e originale realizzato in provincia di Chieti: una mostra permanente che raccoglie 2000 biglietti depositati in Piazza S. Pietro a ridosso del 2 Aprile 2005.
In fondo, le migliaia di persone che si rivolgeranno a lui quale potente intercessore, lo faranno come se si trovassero davanti ad un padre, ad una persona cara, di famiglia, proprio come testimoniato da quei bigliettini e da molti altri lasciati ancora davanti alla sua tomba: non può essere diversamente.  
Elevando preghiere di intercessione, vogliamo soprattutto porci alla sequela di Cristo, aderendo sempre di più all' insegnamento del Papa che si può sintetizzare con le parole pronunciate da colei che, forse, lo conosceva più di chiunque altro; la dott.ssa Wanda Poltawska ha affermato in una recente intervista che “Egli credeva che la santità è semplice, è semplice obbedienza alla volontà di Dio..” Obbedire a Dio è quello che ha fatto per tutta la vita Giovanni Paolo II, con gli scritti, i suoi studi e la sua vita. Questa è la santità secondo Giovanni Paolo II!!

Un così grandioso insegnamento è il lascito più importante, è la sua eredità per noi che vogliamo accogliere sempre di più il suo invito, il suo grido, il suo anelito carico di amore: fate della vostra vita un capolavoro, siate santi.!!! 

martedì 16 ottobre 2012


16 Ottobre 1978 – 16 Ottobre 2012……La storia continua….

Sono trascorsi 34 anni, ma il ricordo di quanto accadde quella sera di ottobre del 1978 è ancora impresso nella nostra mente. Molti di noi non hanno dimenticato il luogo in cui si trovavano nel momento in cui il Card. Felici pronunciò quell’”Habemus Papam” che, ancora il mondo non poteva sapere, avrebbe realmente sconvolto il mondo. Noi, allora adolescenti, con l’istintività propria della nostra età, presi da un’esaltazione inspiegabile, provammo subito un sentimento, un’emozione non ben definibili, in un certo senso irrazionale: eravamo felici, entusiasti, fiduciosi, soprattutto fiduciosi. Non riuscivamo a spiegare razionalmente la nostra reazione, ma in cuor nostro percepivano che quell’uomo, il cui nome era allora impronunciabile, avrebbe rappresentato uno snodo nella nostra vita.  Del resto, che potevamo sapere dell’elezione di un Pontefice? E della Polonia? Per noi ragazzi era solo ed un unicamente un “nome” legato al “ casus belli” della II Guerra Mondiale, era una “ riga” del manuale di storia, che dovevamo conoscere per l’interrogazione di storia, niente di più, anzi!! Eppure, quel volto, quello sguardo, quelle parole pronunciate con quella voce “ lì”, quella libertà del gesto, sì, anche quel suo inconfondibile  modo di “ trasgredire” al protocollo  ci sorpresero positivamente.
Gli adulti, lo dobbiamo ammettere, non riuscirono a trattenere una certa delusione o, comunque, preoccupazione. In fondo erano abituati ad un Papa italiano, quindi ad uno stile diverso, più sobrio e contenuto. Il sorriso gioviale di Papa Giovanni Paolo II, la sua spontaneità, persino il suo vigore fisico,non corrispondevano alle attese e alle speranze di parte dei fedeli. Ma noi ragazzi percepivano che qualcosa di nuovo stava accadendo dentro la Chiesa, qualcosa che avrebbe sconvolto le nostre vite. Allora, come detto, non eravamo in grado di motivare reazioni così infantili, ma, nel corso degli anni abbiamo compreso, abbiamo cominciato a decifrare e a decodificare: Giovanni Paolo II, lontano da certi stili curiali, da certe conflittualità o dibattiti ecclesiologici, ci avrebbe “ presi per mano” facendoci vedere l’autentica bellezza della nostra fede. I suoi modi, il suo sguardo, la sua immediatezza ci comunicavano l’essenza del cristianesimo, ma soprattutto ci dicevano che lui, il Papa di Roma, non voleva tanto parlare “di noi” o “a noi”, ma stare con noi. Solo Dio sa quanto allora avessimo bisogno di questo..  E se lui si fidava di noi, noi ci saremmo fidati subito di lui, sicuri che avremmo trovato un padre, un amico, un Papa. E così è stato. E’ inutile negarlo, noi, adolescenti prima e giovani poi, guardavamo a lui come la guida sicura; era, in un certo senso, il nostro “ catechista”, il nostro educatore. A pensarci bene, ha dell’incredibile il fatto che, anche quando i suoi discorsi non erano di immediata comprensione, noi comunque capivamo “ tutto”, capivamo, cioè, che seguire Cristo, vivere la Sua Amicizia, costituiva la vera rivoluzione per noi che ci stavamo aprendo alla vita. Di fronte ad un mondo adulto “ esperto” nel polemizzare, nell’idealizzare dogmaticamente il dubbio e lo scetticismo, se non l’opportunismo indifferente, il Papa divenne sempre più la nostra roccia, la nostra sicurezza, il nostro “ amico” che sentivamo vicino, anzi, che “era vicino”.  Ed allora,  come conviene in un’amicizia, le sue sfide sono divenute le nostre sfide, i “ suoi amici”, i “ nostri amici”, la “ sua storia”, la “ nostra storia”. Man mano crescevamo, comprendevamo sempre più le ragioni di quell’entusiasmo, forse infantile, ma certo autentico ,con cui accogliemmo l’elezione del nuovo Pontefice: avevamo bisogno di qualcuno che ci proponesse una fede viva, capace di abbracciare tutto il nostro vissuto, compresa la nostra intelligenza ed i nostri sogni, piccoli o grandi che fossero; il Papa, quel Papa, ci avrebbe indicato la strada, avrebbe camminato insieme a noi perché la nostra fede non si inaridisse, ma vibrasse con tutte le corde del nostro essere.
Non stiamo dicendo che i dubbi non ci assalissero, che i “ perché” non ci tormentassero; non abbiamo, poi, mai nutrito l’illusione di diventare più bravi e più buoni. Quante cadute, oggi come allora, quante debolezze e quanta fatica lungo il nostro cammino! Eppure non ci siamo mai sentiti abbandonati e soli; dentro la nostra pochezza, abbiamo imparato a non aver paura del nostro limite, certi di un Amore più grande che nostro “ padre” ci testimoniava con ogni brandello della sua carne. Lui c’era e, con la sua immensa pazienza, non camminava davanti a noi, ma con noi!!
Noi, “suoi giovani”,  anche oggi esultiamo e gioiamo,  ma lo facciamo con il cuore grato e stupito di chi si è reso conto di essere stato toccato dalla grazia di Dio: questo abbiamo sperimentato e vissuto da quell’ormai lontana, ma anche tanto vicina, sera d’ottobre: una Grazia di Dio che continua nell’intercessione potente del beato Giovanni Paolo II. Siamo ancora qui, idealmente accanto a lui, per ricordare quel pomeriggio inoltrato d’ottobre, per continuare un cammino che ha il sapore dell’eternità…la storia continua…

domenica 7 ottobre 2012


Il Vaticano II nel pontificato di Giovanni Paolo II   [1]

La Chiesa si appresta a ricordare e rinvigorire la grande profezia del beato Giovanni XXIII: il Concilio Vaticano II. Permetteteci una piccola ma doverosa chiosa.
Nei mesi, ma anche negli anni successivi alla morte del Papa, si era diffusa una sorta di “ campagna ecclesiologica” attraverso la quale si tentava di dimostrare l’errata o, quanto meno, l’imprecisa e superficiale interpretazione e attuazione del Vaticano II nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II. Responsabile, pur involontaria, una frase pronunciata dal suo successore che, in una famosa udienza, parlò della necessità di una “ corretta ermeneutica del Concilio Vaticano II”. Tanto bastò perché alcuni  commentari e  autorevoli osservatori insinuassero l’ipotesi secondo la quale quella “ corretta ermeneutica” si sarebbe realizzata solo in presenza di “nuovi cambiamenti” in senso alla Chiesa. Ovviamente la loro non era altro che una supposizione totalmente infondata e, fatto ancora più grave, prova di una miope ignoranza che aveva impedito di leggere e ascoltare con attenzione gli interventi di colui che il Papa Beato, un giorno, definì  “ amico fidato”. Sarebbe bastato che riascoltassero le parole dell’attuale Pontefice, per non alimentare dubbi e, con essi, il maldestro tentativo di archiviare un magistero luminoso e ricco anche sotto il profilo dottrinale e teologico, oltre che filosofico:
Io considero proprio una mia missione essenziale e personale di non emanare tanti nuovi documenti, ma di fare in modo che questi documenti siano assimilati, perché sono un tesoro ricchissimo, sono l’autentica interpretazione del Vaticano II. Sappiamo che il Papa era l’uomo del Concilio, che aveva assimilato interiormente lo spirito e la lettera del Concilio e con questi testi ci fa capire veramente cosa voleva e cosa non voleva il Concilio. Ci aiuta ad essere veramente Chiesa del nostro tempo e del tempo futuro. [ 16 Ottobre 2005]

Purtroppo, però, le insinuazioni, pur latenti, possono sortire effetti negativi, mentre certe posizioni, di fatto marginali, se enfatizzate, possono alla fine, prevalere nell’immaginario collettivo.
Negli anni immediatamente successivi al  2005, infatti, sia Vaticano II, inteso come pietra miliare della Chiesa sia il magistero conciliare di Giovanni Paolo II erano oggetto di analisi e disquisizioni tese a negarne valore ed efficacia. Non mancava chi, con una buona dose di ipocrisia, non negasse l’importanza dell’assise voluta dal Beato Giovanni XXIII, ma ne contestasse l’attuazione. Tale valutazione, dettata più da pregiudizio ed ignoranza, non teneva conto del fatto che a Cracovia, per esempio, il Vaticano II era stato studiato ed attuato grazie alle iniziative proposte dall’Episcopato e, in particolare dal Vescovo Wojtyla, come testimoniato da una serie di iniziative e da un saggio oggi quanto mai attuale: “ Alle fonti del rinnovamento, studio sull’attuazione del concilio Vaticano II”, lavoro purtroppo troppo poco conosciuto negli ambienti cattolici italiani!! Nei nostri prossimi interventi avremo modo di parlare di questo studio particolarmente significativo in quanto, come scrive il Card. Ruini nell’introduzione, “ l’interpretazione wojtyliana del Vaticano II, quanto più si radica in Cristo, tanto più invita a una grande e coraggiosa uscita dai discorsi autoreferenziali, dal proprio orto e recinto”.

La lunga premessa era necessaria, per comprendere l’eccezionalità di un’iniziativa promossa dalla Pontificia Facoltà teologia di S. Bonaventura in collaborazione con la Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II: nei giorni 23 – 30 Ottobre 2008, a Roma si è tenuto un Convegno a cui hanno partecipato personalità di primissimo spesso e di notevole valore che hanno illustrato ed analizzato, sotto molteplici aspetti, il magistero e l’insegnamento di Giovanni Paolo II alla luce dei documento del Concilio.
Qualcuno di noi vi ha partecipato, avendo così la possibilità di vivere un’esperienza veramente arricchente, oltre che speciale in quanto fondata su un vero senso di comunione e amicizia capace di superare le barriere linguistiche e culturali..Chi era presente ha potuto sperimentare anche la semplicità e la disponibilità dei relatori pronti a interloquire con chiunque lo chiedesse e, questo, nonostante la loro posizione..
I vari relatori che si sono succeduti, hanno trattato tematiche particolarmente importanti ed impegnative. Per esempio, il prof. Buttiglione ha affrontato il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, soprattutto quello segnato dall’Illuminismo e dal Post Modernismo. In tal senso ha dimostrato quanto gli insegnamenti di Karol Wojtyla / Giovanni Paolo II siano radicati nel Concilio; attraverso un attento excursus storico e filosofico, ha quindi evidenziato come il Papa, autentico paladino della Libertà nella Verità,  si sia assunto il compito di restituire alla Chiesa la guida dei diritti umani in nome della dignità della persona umana.
Illuminanti poi le allocuzioni tenute da illustri prelati e professori: Mons. Sanna, Padre Giertych, teologo della Casa pontificia,la prof.ssa Tortorella, docente presso la Facoltà teologica San Bonaventura, e infine il Cardinale Caffarra, hanno messo in luce, secondo angolature diverse, in quale modo, nel magistero di Giovanni Paolo II in rapporto al Vaticano II, si espliciti il tema della dignità della persona. Per esempio: la vocazione della persona, la bioetica, la donna, la famiglia sono solo alcuni degli aspetti trattati. Particolarmente significative le sollecitazioni da parte di due autorevoli liturgisti:  Mons. Pietro Marini, già maestro delle celebrazioni pontificie, e il prof. Augè, nei nostri ambienti poco noto, ma certamente uno dei più qualificato liturgisti a livelli internazionale. Entrambi hanno di fatto sconfessato certi luoghi comuni relativi alle celebrazioni presieduti dal Papa Giovanni Paolo II: hanno infatti dimostrato che il Papa, in tale contesto, ha realizzato e, in un certo senso, portato a compimento, il senso del rinnovamento liturgico voluto dal Papa Paolo VI e dal Concilio. 
L’ampiezza e la profondità del pensiero del Papa sono state delineate dal prof. Massimo Borghesi che ha tracciato un profilo eccezionalmente puntuale circa il rapporto fede – ragione, a partire dall’Enciclica Fide set Ratio, pietra miliare per chi volesse avvicinarsi a tale fondamentale problematica. Non è certo possibile menzionare tutti i relatori o una sintesi dei loro interventi, ma è doveroso ricordare, almeno superficialmente, le conclusioni, lasciate a personalità internazionali di notevolissimo spessore. Il prof. Weigel, noto autore di monumentali biografie del Papa, il prof. Waldestein, docente di teologia presso l’Internationales Teheologisches Istitut in Austria e in Florida, hanno rilevato come Giovanni Paolo II, fedele alla scuola del Concilio, abbia posto le basi per un nuovo umanesimo cristiano che,  a partire da una visione cristologica e escatologica, sviluppi e incarni un’antropologia fondata sulla Verità, la libertà e la dignità dell’uomo. In un certo senso, questi ultimi relatori hanno evidenziato quanto dirompente sia stato l’impatto del pensiero e, quindi, del magistero di Giovanni Paolo II per la storia contemporanea.
Ciò che abbiamo proposto è solo una sintesi,per altro molto superficiale, ma sufficiente per dimostrare quale sia stato il ruolo del Papa Beato rispetto all’attuazione del Concilio Vaticano II: non dimentichiamo che egli fu uno dei padri conciliari offrendo il suo contributo per uno dei documenti più citati, la Gaudium et Spes, come dimostrato da alcuni studi recenti portati avanti in particolare da don R. Skrzypezak che, nella sua introduzione al libro “Karol Wojtyla al concilio Vaticano II così si esprime: “ Karol Wojtyla, quale Padre del Concilio Vaticano II è tuttora poco conosciuto…Papa Wojtyla era l’ultimo rimasto del gruppo dei Padri del Concilio Vaticano II. Questo fatto, unitamente alla prova della santità di vita, interviene in favore della sua incontrastata competenza nel formulare sul Concilio un reale giudizio di valore, diversamente da altri esegeti cjhe lo conoscono soltanto dai e testi e dalle relazioni…Nel pontificato di Giovanni Paolo II si può vedere oggi una chiave ermeneutica, o meglio, un codice d’accesso per un’oggettiva lettura e comprensione del messaggio conciliare in un preciso momento della storia del cristianesimo e della sua missione nel mondo..” 

giovedì 27 settembre 2012


Il Papa tra noi

Per qualcuno  il 26 Settembre 1982 potrebbe rappresentare una data qualsiasi, priva di significato. In realtà, trent’anni fa Brescia visse un evento straordinario che meriterebbe di essere ricordato. Il Papa Giovanni Paolo II venne a Brescia per esprimere tutta la sua gratitudine a Dio per il grande Ministero del suo Predecessore che egli non esitava a definire “ padre e maestro”. Trent'anni sono trascorsi: un anniversario  certamente importante, tenuto conto che oggi, colui che volle visitare la nostra città, è  venerato come Beato in quasi tutto il mondo.
Alcuni di noi, allora giovani, non vollero mancare all'appuntamento.  I ricordi sono ovviamente un po’ annebbiati, ma l’emozione e la ricchezza che abbiamo vissuto si sono trasformati in una memoria indelebile che, come allora, continua ad animare la nostra esistenza. Sia chiaro, soprattutto per i giovani di oggi: che un Papa venisse tra noi, nella nostra città, non era certo fatto scontato né tanto meno dovuto e, proprio per questo, la nostra gioia, la nostra sorpresa, la nostra gratitudine contenevano in sé qualcosa di indescrivibile , forse, incomprensibile  alle nuove generazioni. 
Giovanni Paolo II pronunciò discorsi ed omelie di grandissimo valore,  donò a noi un messaggio di speranza che nessuno allora aveva il coraggio di proporci; manifestò con cuore e saggezza di padre la sua fiducia, quella fiducia che allora nessuno aveva l’intelligenza e l’umiltà di accordarci.  Le sue parole risuonarono dentro di noi,  destarono e provocarono le nostre menti che avevamo sete di risposte di fronte ai mille dubbi, e ai mille “ perché” propri dell’età. Erano gli anni del terrorismo, gli anni delle manifestazioni e delle campagne abortiste, anni in cui nelle piazze e nelle scuole si tentava di eliminare Dio dal cuore delle nuove generazioni in nome di un nichilismo imperante, benché latente; e questo veniva portato avanti  con metodi spesso subdoli, ma anche violenti. Affermare  nelle assemblee studentesche le ragioni della Chiesa, quindi dell’uomo,  in non rari casi suscitava derisione o, quanto meno, reazioni polemiche e provocatorie. E, non lo dimentichiamo, 16 mesi prima il Papa era stato colpito quasi a morte!!
In un tale clima, le parole del Papa ebbero l’effetto di scardinare la sicurezza di molti e di provocare, ma anche confortare, l’intelligenza e il cuore di noi giovani alla ricerca di risposte, alla ricerca di qualcuno che, finalmente, ci desse fiducia, credesse in noi…
Voi puntate, e giustamente, sul domani l’obiettivo delle vostre attese. Ma non c’è un domani che scaturisca dal nulla. Non c’è, non può esserci un avvenire costruito sul vuoto o sulle sabbie mobili. Solo poggiando sul patrimonio dei valori umani e cristiani, conquistati dalle generazioni dei giovani di ieri, voi potrete far progredire il mondo di oggi verso nuovi e validi traguardi”…Quale speranza, quale rivoluzionario progetto per le nostre vite..Mentre gli altri adulti inneggiavano al “ nulla”, un altro uomo ci invitava a costruire il nostro futuro sulla roccia di Cristo; mentre “profeti di sventura” tentavano di cancellare il passato,  in nome di  una non ben chiara “ modernità”, un altro “ profeta” ci esortava a guardare alle luminose testimonianze di quanti ci avevano preceduto, base e fondamenta del vero progresso umano.
Poi, sorprendentemente, ci disse che “Gesù Cristo è nostro contemporaneo; non un insigne reperto da museo, ma il Vivente assoluto, il compagno di viaggio dell’uomo del nostro tempo Il cristianesimo è la religione dei giovani” Questa non è una frase fatta…Essa tuttavia rivela una particolare affinità con l’età giovanile per la sua intima virtù di ricupero e di rigenerazione, per la sua misteriosa capacità di rapportare continuamente il ritmo dell’itinerario spirituale sullo slancio, la generosità, l’entusiasmo che sono tipici della stagione giovanile”.. Ed ancora: “Il “sì” a Cristo deve essere l’impronta indelebile del vostro stile di vita. Un “sì” totale e limpido, deciso e pieno, alieno da sofismi, equivoci, oscillazioni. Il senso acuto dell’oggi che caratterizza voi giovani va armonizzato e animato da una visione di fede, dalla certezza che Cristo Risorto opera nella storia di oggi e nel cuore dell’uomo”. Questo messaggio ci diede coraggio, ci diede forza, ci aiutò a trovare le ragioni profonde del nostro cammino di fede, altrimenti sbiadito e abitudinario, quindi destinato inesorabilmente ad esaurirsi. Il Papa, con il realismo che lo contraddistingueva, ci lasciò un insegnamento alto, ma non disincarnato dalla dimensione quotidiana del nostro vivere; dimostrò di conoscere a fondo e veramente la nostra giovinezza che non banalizzò per nulla, anzi. Ci parlò con l’amore di un padre e di un amico che si fidava dei suoi giovani amici, fatto per nulla scontato. Brescia, già toccata dalla fede e dallo spessore intellettuale del Papa Paolo VI, in quel 26 Settembre di trenta anni fa, pur inconsapevolmente, divenne parte di un disegno che negli anni successivi si sarebbe svelato in tutta la sua straordinaria bellezza e santità.

Tra i vari segni che ricordano l’incontro del Beato Giovanni Paolo II con noi bresciani, il più significativo è un grande dipinto che accoglie quanti si recano presso l’Ospedale Civile: vuole ricordare la visita ai malati a cui il Papa non volle rinunciare. Quanti entrano nel nosocomio della nostra città, possono “ incrociare” lo sguardo del Papa e rivolgere a lui una preghiera di intercessione; possono trovare forza nella testimonianza di colui che, abbracciato alla croce, ha sperimentato la loro stessa sofferenza e, per questo, sentono particolarmente vicino. Sì, non c’è modo migliore per ricordare l’incontro del Papa con Brescia…In fondo lui è “ sempre presente” nel luogo forse più importante e fondamentale della nostra città, quello del dolore che redime!!

«Giovani sani e forti, io parlo al vostro cuore segnato dal sigillo di Cristo. Nel suo nome e con la sua autorità vi ripeto il messaggio delle beatitudini, tutto pervaso da celestiale virtù e, nello stesso tempo, incarnato nella quotidiana fatica del vivere. E vi dico: misuratevi con le altezze di Dio e siate assidui alla esplorazione delle zone più riposte del vostro mondo interiore. Troverete sempre una risposta ai vostri “perché”. Chi è Cristo? Chi è Cristo? Cristo è quello che sa dare la risposta a tutti i nostri perché. Capirete che mille difficoltà non hanno la forza di ingenerare un dubbio » [ Brescia, 26 Settembre 1982]





domenica 16 settembre 2012


Due “ nostri” amici, due “ nostri” beati

Nel libro “ Una vita con Karol, il Card. Dziwisz racconta alcuni episodi particolarmente significativi attraverso i quali è possibile comprendere, almeno parzialmente, l’essenza di un legame speciale e, se possibile, fuori dal comune proprio perché non cristallizzato dentro ruoli  che, in non pochi casi, condizionano i rapporti umani.
Madre Teresa, in un certo senso, ha guidato il Papa ad una sempre più radicata consapevolezza della realtà umana, lo ha accompagnato, prendendolo per mano anche fisicamente, laddove l’uomo  è ridotto ad una larva nella sua umanità ferita e disprezzata. Ed il Papa si è lasciato umilmente guidare da lei, da  un’umile e piccola suora col sari grazie alla quale, come ricorda il Card Dziwisz, “ aveva compreso una volta di più come, nella gratuità assoluta del donarsi agli altri, l’essere umano possa arrivare alla felicità più profonda” ( Una vita con Karol, pag. 153). Quale umiltà, quale semplicità di cuore!!  La fotografia che li ritrae insieme all’esterno del Nirmal Hriday Ashram, la Casa dei Moribondi a Calcutta, ha in se qualcosa di rivoluzionario e sorpendente!!
D’altra parte, madre Teresa trovava in Giovanni Paolo II la guida sicura e luminosa, il pastore testimone dell’Amore di Dio,  il missionario e l’evangelizzatore che, con l’audacia della sua intelligenza e con la rocciosa sua fede, stava scuotendo interi popoli e trepidare i potenti.

Non stupisce  che Giovanni Paolo II la inviassi nel mondo a nome suo chiedendole di “ farsi ambasciatrice della vita” e di parlare a nome suo. Così, un giorno le disse: “ Vada e parli dappertutto, e parli a nome mio, là dove non posso andare”.. E lei, in effetti, ha percorso le mille strade del mondo, giungendo per esempio in Libano a nome del Papa.
A tal proposito, il Card. Dziwisz racconta che un giorno Giovanni Paolo II fece sedere accanto a sé Madre Teresa, giunta improvvisamente a Castel Gandolfo per avere la benedizione di Giovanni Paolo II prima di partire per il Libano.  Ai giovani con i quali stava dialogando, “ spiegò che la religiosa andava in un Paese che era allora dilaniato dalla guerra civile” ( ibidem pag.155).  Ricorda il porporato che “ Madre Teresa partì portando con sé una candela con in cima l’immagine della Madonna. Arrivata a Beirut, ottenne un “ cessare il fuoco” per il tempo in cui quella candela fosse rimasta accesa, riuscendo così a mettere in salvo una settantina di bambini handicappati e quasi tutti musulmani”. Anche in questo caso, madre Teresa operò in un unione spirituale con il Papa che, come lei, aveva a cuore, già allora, le sorte del Libano. Allora lei andò nel Paese martoriato a nome di Giovanni Paolo II , anticipando in un certo senso il viaggio che lui stesso avrebbe compiuto nel 1997, un pellegrinaggio memorabile ed epocale, fondamentale per la rinascita del Paese.
Desideriamo concludere questo nostro ricordo della piccola grande Beata Madre Teresa, ancora con le parole eloquente del Card. Dziwisz, testimone di un legame straordinario tra due santi: “ Dei testimoni avevano entrambi il linguaggio dei gesti concreti, spesso audaci e percepibili immediatamente dagli uomini di oggi, anche se non cristiani, anche se non credenti. Tra di loro c’era una affinità spirituale che è propria di chi ama totalmente Dio. E su questa affinità si era innestata una forte amicizia, una comprensione reciproca che non aveva bisogno di tanti discorsi: si capivano al volo”..

Una mattina di fine Agosto..a Rimini

Fine Agosto 1987: alcuni di noi sono a Rimini per vivere l’esperienza del Meeting. Già da qualche giorno una “voce” si aggira per i quartieri fieristici della cittadina emiliana.
La mattina del 29 Agosto, ci dirigiamo con animo trepidante verso la Fiera: si dice che verrà una importante personalità; qualcuno ipotizza il nome. C’è fermento, agitazione, emozione. Finalmente riusciamo a varcare i cancelli. La folla è enorme. Entriamo, a fatica, nel grande auditorium dove miracolosamente troviamo posto. L’attesa è quella delle grandi occasioni.  Improvvisamente dal fondo della sala sentiamo provenire prima un indistinto brusio, poi applausi sempre più vigorosi. Ci alziamo in piedi. Ed ecco, a pochi centimetri da noi, appare una donna, una piccola donna circondata da personalità molto più alte di lei, molto più “ distinte” e imperiose. Ma è lei che giganteggia, è lei che sovrasta tutti: gli occhi delle migliaia di persone presenti sono tutte rivolte a questa “ gracile” donna rivestita del solo suo sari, quello di sempre, quello che la accompagna tra i suoi poveri e tra i potenti della terra.
Qualcuno si ostina a sottovalutare la dimensione del “ vedere” preferendo quella dell’”ascoltare” ,come se la “ chiarezza” della parola possa sostituire la potenza e il primato della testimonianza; noi possiamo solo dire che “ vedere” la Madre Teresa di Calcutta è stata un’esperienza sconvolgente, capace di sovvertire il nostro essere e il nostro modo di pensare e, in un certo senso, di credere. Sono stati sufficienti pochi secondi per capire che cosa significhi “ Dio è Amore” : il sorriso, lo sguardo di Madre Teresa ci “parlavano” di una vita che, in quel preciso istante, veniva donata a noi, veniva offerta a noi perché  ne traessimo forza, consolazione e insegnamento. La sua voce poi è risuonata, lieve e maestosa, semplice e luminosa. 
Le sue prime parole, non poteva essere altrimenti,  risuonarono come un richiamo materno, dolce eppure così  autorevole: “ Chiediamo alla Madonna, alla Santa Vergine, di darci il suo cuore così bello, così puto, così immacolato, il suo cuore così pieno d’amore e di umiltà, cosicché noi possiamo ricevere Gesù nel pane della vita e amarlo come Lei lo ama scoprendolo nel più povero tra i poveri”. Impressionante!! In tale invito era concentrato tutto ciò che è l’uomo, tutto ciò che rende degna la sua esistenza.  Con stupefacente tenerezza,  ha poi invitato tutti noi a pregare e ringraziare i nostri genitori “ per averci amato, per averci voluto, per averci dato la gioia della vita”…In tale modo ci aiutava a prendere coscienza del valore della vita minacciata dell’atrocità dell’aborto. Lei che, lungo le vie del mondo, si incontrava ogni giorno con le più devastanti malattie, con la morte più disumanizzante, con i conflitti più tragici, non ha avuto timore di denunciare la causa prima delle guerre e dei drammi del’umanità:  riferendosi all’episodio evangelico in cui si racconta la visita di Maria ad Elisabetta, Madre Teresa, con il coraggio proprio dei profeti, così si espresse:“Sappiamo come oggi la madre stessa uccide il figlio, e uccide in lui l’immagine e la vita stessa di Dio”. Ha difeso veramente la vita, sempre e comunque ,perché amava ogni esistenza, anche la più derelitta e sfigurata;  amava perché, come ci ricordò, “ Gesù è venuto a recarci la buona Novella che Dio ci ama, e ci chiede di amarci gli uni con gli altri così come Lui ama, ognuno di Dio…Quando moriremo e torneremo nella casa di Dio, saremo giudicati per quello che siamo stati gli uni per gli altri” . Chiarì quindi che “ essere per gli altri”, non significa solo prendersi cura dei bisogni materiali, ma è qualcosa di più, molto di più: “ La fame, disse infatti, non è soltanto una fame di pane, è una fame di amore, è una fame di amore di Dio; essere ignudi non è soltanto mancare di abiti, essere ignudi vuol dire mancare di quell’enorme dono che è la dignità dell’uomo, della purezza; il non avere una casa non significa mancare di un edificio di mattoni, significa non essere voluti, non essere amati, essere cacciati, emarginati dalla società”. Madre Teresa, e questo ci colpì già allora moltissimo, non ci illustrò proposte astratte o per noi irrealizzabili; semplicemente e con una concretezza e lucidità impressionanti, ci disse che l’amore per gli altri ha inizio “ nelle nostre famiglie, nella nostra stessa casa” e, con altrettanta lungimiranza, ci indicò la strada: “ la preghiera”: “ il frutto della preghiera è un approfondimento della fede, il frutto della fede l’amore, il frutto dell’amore è l’essere al servizio, e il frutto del servizio è la pace…..Condividere la gioia di amare: questo è qualcosa che ogni essere umano deve poter sentire e provare. La gioia di amare non è quanto diamo, ma quanto amore contiene quel che noi diamo. Per questo è così importante pregare: pregare ci dà un cuore pulito e un cuore pulito può vedere Dio, e se voi vedete Dio, l’uno nell’altro vi amerete l’un l’altro come Dio ci ama”. Parole semplici, eppure così potenti da scuotere il nostro animo, il nostro cuore, la nostra mente di giovani che si aprivano alla vita. Ma, ed è questo l’aspetto più decisivo, quelle parole ci hanno colpiti pronunciate da chi viveva nella propria vita lo sguardo d’amore di Dio e questo sguardo donava ai fratelli!! Per noi, allora giovani,l’incontro con Madre Teresa rappresentò una delle tappe fondamentali per la nostra crescita umana, spirituale e morale, una grazia, certo immeritata, ma chiaro segno dell’amore di Dio.  
In quel giorno d’agosto, abbiamo cominciato a comprendere poi le ragioni di un legame solido e profondo, tenero e vigoroso: il legame tra Madre Teresa e Giovanni Paolo II, la piccola “ matita di Dio” e il Papa..Tra un “ fratello “ed una “sorella” che volle  recarsi subito al policlinico Gemelli quando seppe dell’attentato subito dal Santo Padre; fece inoltre recitare alle sue consorelle una bellissima preghiera, segno di un’amicizia e di una devozione profondi. .
Ancora non sapevamo, non potevamo saperlo, ma un giorno entrambi, come un disegno già scritto nella mente di Dio,  a pochi anni dalla morte, sarebbero stati beatificati, additati quali modello di quella santità che già in vita era loro riconosciuta. 

mercoledì 5 settembre 2012


"Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro"

L’Europa sta attraversando uno dei periodi più difficili. La crisi economica, al di là di tutte le possibili e legittimi analisi, presenta un dato realmente drammatico, ma anche tragico: l’aumento della disoccupazione che investe moltissimi settori della nostra economia senza risparmiare alcuna regione geografica. Le notizie che giungono dalla Sardegna,ma non solo, riassumono la difficile e complessa condizione in cui versano ormai numerosissime famiglie italiane.
La disoccupazione scriveva Giovanni Paolo  II nel 1981, “è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale. Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a trovare un posto di lavoro e vedono penosamente frustrate la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità.(Laborem exercens,18); d’altra parte, come sosteneva sempre il Papa, Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo» ( ibidem, 9). Dio stesso  nel momento in cui lo invitava a «soggiogare la terra» , ricordava Giovanni Paolo II, ha chiamato l’uomo a farsi, in un certo senso “ co-creatore”, soggetto personale, capace di  realizzare la propria umanità in virtù delle azioni da lui compiute. Giovanni Paolo II, riferendosi al Nuovo Testamento, parla anche di “ Vangelo del lavoro” considerando la vita di Cristo, definita “  inequivocabile” in quanto, scrive il Papa “Egli appartiene al «mondo del lavoro», ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre” (ibidem, 26).
Il lavoro, quindi, non è solo “un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno», cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce” (ibidem, 9).. O, per riprendere i versi di don Karol Wojtyla, “ Tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo “ ( La cava di pietra, I Materia).  E questo anche per quella fatica, quel sacrificio, quegli stessi pericoli insiti nel lavoro umano. Karol Wojtyla, il giovane che, con gli zoccoli ai piedi, percorreva Km di strada, spesso nella notte gelida della Polonia, conosceva bene la durezza del lavoro quando scriveva: “ Dura e piagata, la mano variamente si gonfia serrando il martello……/Le mani sono un paesaggio. Quando si spaccano, nelle, nelle piaghe/ sale il dolore e scorre libero, a flotti”.
Ma ogni gesto, pur carico di fatica e di dolore, ha una sua dignità, un senso profondo che rende il lavoro umano qualcosa di veramente nobile: non è la “corrente elettrica” a sciogliere l’intrico di forze” che permette di infrangere la compatta e dura pietra, “ma l’uomo che quelle forze tiene nelle sue mani: l’operaio”( da “ La cava di pietra I). La stessa grandezza dell’uomo “ non coincide” con il dolore dello sforzo fisico e morale, ma consiste in Qualcosa – Qualcuno “ di cui egli stesso ignora l’esatta definizione”.
Alla luce di tutto ciò, è evidente quanto l’assenza del lavoro o la sua precarietà, rappresentino un grave vulnus per una società che si vuole definire moderna; si tratta, infatti, di una ferita che mina dalle fondamenta l’essenza stessa della dignità dell’uomo, quindi dell’intera umanità.

Nel 1987, Giovanni Paolo II metteva in guardia , indicando “ una crisi economica mondiale” tra i “pericoli incombenti che minacciano tutti” ( Sollicitudo rei socialis,conclusione). Il Papa non era un “economista”, ma neppure un ingenuo; realisticamente e, diciamo noi, profeticamente, vedeva con chiarezza quanto sia fallimentare  un’economia che escluda la dimensione “ culturale, trascendente e religiosa” , perchè incapace di interagire con la realtà concreta e profonda dell’uomo, con i suoi reali bisogni, con la sua essenza più vera. Non a caso, nel 1991, quando il mondo celebrava la “ Caduta del muro”come l’avvento di una nuova era di sviluppo, progresso e benessere,  il Papa denunciava la crisi di una società fondata non su autentici valori. Così scriveva: “Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.” ( Centesimus Annus, 47) . Ciò significa che nessun sistema economico, anche nel XXI secolo, potrà mai prescindere dal bene comune e, soprattutto, dal fine ultimo: permettere all’uomo di realizzarsi in quanto “ Creatura di Dio”. Il lavoro, in tal senso, è la dimensione fondamentale attraverso la quale  continua “ l’opera della Creazione” affidata all’uomo da Dio!!  L’uomo, quindi, è il vero protagonista del lavoro, l’artefice e il soggetto. Dimenticare tutto questo, affidarsi a logiche lontane da una visione integrale dell’uomo, come la storia dimostra, non può che produrre, come conseguenza irreversibile,   l’annientamento della società e, in ultima istanza della civiltà, pr opulenta e progredita. Il Papa era conscio di tutto questo e, preoccupato del destino dell’uomo, già nella sua prima omelia invitava tutti ad una conversione del cuore e della mente; ad una società che celebrava la “ morte di Dio” e la “ liberazione dell’uomo”, con parole veramente rivoluzionarie allora, indicava l’unica via possibile, l’unica capace di promuovere un vero e duraturo progresso:
«Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! ». Questo potente e inatteso grido, anche se riproposto spesso dai media, forse non è stato abbastanza ascoltato e compreso nella sua reale portata …Troppo dirompente e noi troppo miopi. Forse, verrebbe da dire, se avessimo dato più credito all’audacia di un simile messaggio, oggi non saremmo così smarriti e sfiduciati di fronte alle crisi che investono il mondo, soprattutto la civiltà occidentale. Rileggere le cosiddette “ encicliche sociale” del Papa Beato, potrebbe essere un modo per rispondere alle sfide complesse a cui siamo chiamati tutti, un modo per riscoprire ( o scoprire) una freschezza e una lucidità intellettuali e spirituali di cui abbiamo, nonostante tutto, ancora bisogno!

domenica 26 agosto 2012


Czestochowa 2

Il Santuario di Jasna Gora: il cuore pulsante di un popolo

Che cosa significa per un Polacco il Santuario di Jasna Gora? Che valore ha?
Jasna Gora, Pellegrinaggio amicibrescianiGPII
Innanzitutto è bene precisare che, a differenza di altri Santuari, quello di Czestochowa  non è sorto a seguito di un’apparizione mariana. In realtà il Santuario sorge laddove, già a partire dal XIV secolo, era stato edificato il Monastero dei Paolini a cui venne affidata l’Icona della Madonna, per altro risultato di un restauro fallito.
Nonostante i pericolosi attacchi subiti da parte di popoli aggressori, il Monastero respinse sempre gli invasori: per i Polacchi ciò è sempre stato il segno evidente della protezione di Maria, della Sua Presenza al fianco e in difesa di un popolo. Per capire meglio, affidiamoci alle parole del Beato Giovanni Paolo II 
L’allora Card. Wojtyla, così disse il 26 Agosto1977:” Maria attendeva nel suo quadro il momento della prova tremenda, per far vedere che veramente era destinata alla difesa del nostro popolo. Quando né il re né il comandante in campo sono stati in grado di difendere la Nazione, lo fece Lei attraverso gli uomini che avevano il suo spirito e che le sono stati dati come collaboratori…Questo quadro ci ha unito quando volevano cancellare dalla carta dell’Europa il nome della Polonia”… Nel libro, “Alzatevi, andiamo” molti anni dopo, scriverà: “ Per i Polacchi, Czestochowa è un luogo particolare. In un certo senso, si identifica con la Polonia e con la storia delle lotte per l’indipendenza nazionale…Tutti sapevano che la sorgente della luce di speranza era la presenza di Maria nella sua miracolosa effigie. Così fu, forse per la prima volta, durante l’invasione degli svedesi…In tale circostanza il santuario divenne una fortezza che l’invasione non riuscì a conquistare. La nazione lesse allora quell’evento come una promessa di vittoria. E la fiducia nella protezione di Maria diede ai polacchi la forza per sconfiggere l’invasione. Da allora il santuario di Jasna Gora è diventato, in un certo senso, il baluardo della fede, dello spirito, della cultura, insomma di tutto ciò che decide dell’identità nazionale”[Alzatevi, andiamo, pag. 43] Non a caso, i Polacchi, in tutti i momenti bui della loro storia, anche recente, si sono riuniti a Jasna Gora, certi di non essere soli e di poter confidare nella Madre, la “ Regina della Polonia”, come loro amano chiamare la Madonna.
Anche quando i Tedeschi invasori circondarono con il loro esercito il Santuario, una delegazione di giovani universitari, tra cui Karol Wojtyla,  non rinunciò all’annuale pellegrinaggio e si  recò segretamente a Czestochowa in quell’ora tragica della loro Nazione.
Jasna Gora, altare da cui ha celebrato
 il beato Giovanni Paolo II
Durante il regime comunista, il popolo pregò “ con ancora più fervore” davanti alla cornice vuota, dopo che le autorità nel Novembre 1966 avevano sequestrato l’effige della Madonna che, per iniziativa dell’Episcopato, doveva essere portata in pellegrinaggio nelle Parrocchie del Paese.
Il Popolo Polacco non ha mai cessato di rivolgere il suo sguardo a Maria, di confidare in Lei, nel Suo Amore di Madre. E’ stato così in passato e lo è in questo giorno perché, come disse il Papa, “Bisogna prestare l’orecchio a questo luogo santo per sentire come batte il cuore della Nazione nel cuore della Madre. Questo cuore, infatti, pulsa come sappiamo, con tutti gli appuntamenti della storia, con tutte le vicende della vita nazionale: quante volte, infatti, esso ha vibrato con i lamenti delle sofferenze storiche della Polonia, ma anche con le grida di gioia e di vittoria! Si può scrivere la storia della Polonia in diversi modi: specialmente quella degli ultimi secoli, si può interpretarla in chiave diversa. Tuttavia se vogliamo sapere come interpreta questa storia il cuore dei Polacchi, bisogna venire qui, bisogna porgere l’orecchio a questo Santuario, bisogna percepire l’eco della vita dell’intera nazione nel cuore della sua Madre e Regina! E se questo cuore batte con tono di inquietudine, se risuonano in esso la sollecitudine e il grido per la conversione e per il rafforzamento delle coscienze, bisogna accogliere questo invito. Esso nasce dall’amore materno, che a suo modo forma i processi storici sulla terra polacca.”[ Czestochowa - Jasna Gora, 4 giugno 1979]