giovedì 27 settembre 2012


Il Papa tra noi

Per qualcuno  il 26 Settembre 1982 potrebbe rappresentare una data qualsiasi, priva di significato. In realtà, trent’anni fa Brescia visse un evento straordinario che meriterebbe di essere ricordato. Il Papa Giovanni Paolo II venne a Brescia per esprimere tutta la sua gratitudine a Dio per il grande Ministero del suo Predecessore che egli non esitava a definire “ padre e maestro”. Trent'anni sono trascorsi: un anniversario  certamente importante, tenuto conto che oggi, colui che volle visitare la nostra città, è  venerato come Beato in quasi tutto il mondo.
Alcuni di noi, allora giovani, non vollero mancare all'appuntamento.  I ricordi sono ovviamente un po’ annebbiati, ma l’emozione e la ricchezza che abbiamo vissuto si sono trasformati in una memoria indelebile che, come allora, continua ad animare la nostra esistenza. Sia chiaro, soprattutto per i giovani di oggi: che un Papa venisse tra noi, nella nostra città, non era certo fatto scontato né tanto meno dovuto e, proprio per questo, la nostra gioia, la nostra sorpresa, la nostra gratitudine contenevano in sé qualcosa di indescrivibile , forse, incomprensibile  alle nuove generazioni. 
Giovanni Paolo II pronunciò discorsi ed omelie di grandissimo valore,  donò a noi un messaggio di speranza che nessuno allora aveva il coraggio di proporci; manifestò con cuore e saggezza di padre la sua fiducia, quella fiducia che allora nessuno aveva l’intelligenza e l’umiltà di accordarci.  Le sue parole risuonarono dentro di noi,  destarono e provocarono le nostre menti che avevamo sete di risposte di fronte ai mille dubbi, e ai mille “ perché” propri dell’età. Erano gli anni del terrorismo, gli anni delle manifestazioni e delle campagne abortiste, anni in cui nelle piazze e nelle scuole si tentava di eliminare Dio dal cuore delle nuove generazioni in nome di un nichilismo imperante, benché latente; e questo veniva portato avanti  con metodi spesso subdoli, ma anche violenti. Affermare  nelle assemblee studentesche le ragioni della Chiesa, quindi dell’uomo,  in non rari casi suscitava derisione o, quanto meno, reazioni polemiche e provocatorie. E, non lo dimentichiamo, 16 mesi prima il Papa era stato colpito quasi a morte!!
In un tale clima, le parole del Papa ebbero l’effetto di scardinare la sicurezza di molti e di provocare, ma anche confortare, l’intelligenza e il cuore di noi giovani alla ricerca di risposte, alla ricerca di qualcuno che, finalmente, ci desse fiducia, credesse in noi…
Voi puntate, e giustamente, sul domani l’obiettivo delle vostre attese. Ma non c’è un domani che scaturisca dal nulla. Non c’è, non può esserci un avvenire costruito sul vuoto o sulle sabbie mobili. Solo poggiando sul patrimonio dei valori umani e cristiani, conquistati dalle generazioni dei giovani di ieri, voi potrete far progredire il mondo di oggi verso nuovi e validi traguardi”…Quale speranza, quale rivoluzionario progetto per le nostre vite..Mentre gli altri adulti inneggiavano al “ nulla”, un altro uomo ci invitava a costruire il nostro futuro sulla roccia di Cristo; mentre “profeti di sventura” tentavano di cancellare il passato,  in nome di  una non ben chiara “ modernità”, un altro “ profeta” ci esortava a guardare alle luminose testimonianze di quanti ci avevano preceduto, base e fondamenta del vero progresso umano.
Poi, sorprendentemente, ci disse che “Gesù Cristo è nostro contemporaneo; non un insigne reperto da museo, ma il Vivente assoluto, il compagno di viaggio dell’uomo del nostro tempo Il cristianesimo è la religione dei giovani” Questa non è una frase fatta…Essa tuttavia rivela una particolare affinità con l’età giovanile per la sua intima virtù di ricupero e di rigenerazione, per la sua misteriosa capacità di rapportare continuamente il ritmo dell’itinerario spirituale sullo slancio, la generosità, l’entusiasmo che sono tipici della stagione giovanile”.. Ed ancora: “Il “sì” a Cristo deve essere l’impronta indelebile del vostro stile di vita. Un “sì” totale e limpido, deciso e pieno, alieno da sofismi, equivoci, oscillazioni. Il senso acuto dell’oggi che caratterizza voi giovani va armonizzato e animato da una visione di fede, dalla certezza che Cristo Risorto opera nella storia di oggi e nel cuore dell’uomo”. Questo messaggio ci diede coraggio, ci diede forza, ci aiutò a trovare le ragioni profonde del nostro cammino di fede, altrimenti sbiadito e abitudinario, quindi destinato inesorabilmente ad esaurirsi. Il Papa, con il realismo che lo contraddistingueva, ci lasciò un insegnamento alto, ma non disincarnato dalla dimensione quotidiana del nostro vivere; dimostrò di conoscere a fondo e veramente la nostra giovinezza che non banalizzò per nulla, anzi. Ci parlò con l’amore di un padre e di un amico che si fidava dei suoi giovani amici, fatto per nulla scontato. Brescia, già toccata dalla fede e dallo spessore intellettuale del Papa Paolo VI, in quel 26 Settembre di trenta anni fa, pur inconsapevolmente, divenne parte di un disegno che negli anni successivi si sarebbe svelato in tutta la sua straordinaria bellezza e santità.

Tra i vari segni che ricordano l’incontro del Beato Giovanni Paolo II con noi bresciani, il più significativo è un grande dipinto che accoglie quanti si recano presso l’Ospedale Civile: vuole ricordare la visita ai malati a cui il Papa non volle rinunciare. Quanti entrano nel nosocomio della nostra città, possono “ incrociare” lo sguardo del Papa e rivolgere a lui una preghiera di intercessione; possono trovare forza nella testimonianza di colui che, abbracciato alla croce, ha sperimentato la loro stessa sofferenza e, per questo, sentono particolarmente vicino. Sì, non c’è modo migliore per ricordare l’incontro del Papa con Brescia…In fondo lui è “ sempre presente” nel luogo forse più importante e fondamentale della nostra città, quello del dolore che redime!!

«Giovani sani e forti, io parlo al vostro cuore segnato dal sigillo di Cristo. Nel suo nome e con la sua autorità vi ripeto il messaggio delle beatitudini, tutto pervaso da celestiale virtù e, nello stesso tempo, incarnato nella quotidiana fatica del vivere. E vi dico: misuratevi con le altezze di Dio e siate assidui alla esplorazione delle zone più riposte del vostro mondo interiore. Troverete sempre una risposta ai vostri “perché”. Chi è Cristo? Chi è Cristo? Cristo è quello che sa dare la risposta a tutti i nostri perché. Capirete che mille difficoltà non hanno la forza di ingenerare un dubbio » [ Brescia, 26 Settembre 1982]





domenica 16 settembre 2012


Due “ nostri” amici, due “ nostri” beati

Nel libro “ Una vita con Karol, il Card. Dziwisz racconta alcuni episodi particolarmente significativi attraverso i quali è possibile comprendere, almeno parzialmente, l’essenza di un legame speciale e, se possibile, fuori dal comune proprio perché non cristallizzato dentro ruoli  che, in non pochi casi, condizionano i rapporti umani.
Madre Teresa, in un certo senso, ha guidato il Papa ad una sempre più radicata consapevolezza della realtà umana, lo ha accompagnato, prendendolo per mano anche fisicamente, laddove l’uomo  è ridotto ad una larva nella sua umanità ferita e disprezzata. Ed il Papa si è lasciato umilmente guidare da lei, da  un’umile e piccola suora col sari grazie alla quale, come ricorda il Card Dziwisz, “ aveva compreso una volta di più come, nella gratuità assoluta del donarsi agli altri, l’essere umano possa arrivare alla felicità più profonda” ( Una vita con Karol, pag. 153). Quale umiltà, quale semplicità di cuore!!  La fotografia che li ritrae insieme all’esterno del Nirmal Hriday Ashram, la Casa dei Moribondi a Calcutta, ha in se qualcosa di rivoluzionario e sorpendente!!
D’altra parte, madre Teresa trovava in Giovanni Paolo II la guida sicura e luminosa, il pastore testimone dell’Amore di Dio,  il missionario e l’evangelizzatore che, con l’audacia della sua intelligenza e con la rocciosa sua fede, stava scuotendo interi popoli e trepidare i potenti.

Non stupisce  che Giovanni Paolo II la inviassi nel mondo a nome suo chiedendole di “ farsi ambasciatrice della vita” e di parlare a nome suo. Così, un giorno le disse: “ Vada e parli dappertutto, e parli a nome mio, là dove non posso andare”.. E lei, in effetti, ha percorso le mille strade del mondo, giungendo per esempio in Libano a nome del Papa.
A tal proposito, il Card. Dziwisz racconta che un giorno Giovanni Paolo II fece sedere accanto a sé Madre Teresa, giunta improvvisamente a Castel Gandolfo per avere la benedizione di Giovanni Paolo II prima di partire per il Libano.  Ai giovani con i quali stava dialogando, “ spiegò che la religiosa andava in un Paese che era allora dilaniato dalla guerra civile” ( ibidem pag.155).  Ricorda il porporato che “ Madre Teresa partì portando con sé una candela con in cima l’immagine della Madonna. Arrivata a Beirut, ottenne un “ cessare il fuoco” per il tempo in cui quella candela fosse rimasta accesa, riuscendo così a mettere in salvo una settantina di bambini handicappati e quasi tutti musulmani”. Anche in questo caso, madre Teresa operò in un unione spirituale con il Papa che, come lei, aveva a cuore, già allora, le sorte del Libano. Allora lei andò nel Paese martoriato a nome di Giovanni Paolo II , anticipando in un certo senso il viaggio che lui stesso avrebbe compiuto nel 1997, un pellegrinaggio memorabile ed epocale, fondamentale per la rinascita del Paese.
Desideriamo concludere questo nostro ricordo della piccola grande Beata Madre Teresa, ancora con le parole eloquente del Card. Dziwisz, testimone di un legame straordinario tra due santi: “ Dei testimoni avevano entrambi il linguaggio dei gesti concreti, spesso audaci e percepibili immediatamente dagli uomini di oggi, anche se non cristiani, anche se non credenti. Tra di loro c’era una affinità spirituale che è propria di chi ama totalmente Dio. E su questa affinità si era innestata una forte amicizia, una comprensione reciproca che non aveva bisogno di tanti discorsi: si capivano al volo”..

Una mattina di fine Agosto..a Rimini

Fine Agosto 1987: alcuni di noi sono a Rimini per vivere l’esperienza del Meeting. Già da qualche giorno una “voce” si aggira per i quartieri fieristici della cittadina emiliana.
La mattina del 29 Agosto, ci dirigiamo con animo trepidante verso la Fiera: si dice che verrà una importante personalità; qualcuno ipotizza il nome. C’è fermento, agitazione, emozione. Finalmente riusciamo a varcare i cancelli. La folla è enorme. Entriamo, a fatica, nel grande auditorium dove miracolosamente troviamo posto. L’attesa è quella delle grandi occasioni.  Improvvisamente dal fondo della sala sentiamo provenire prima un indistinto brusio, poi applausi sempre più vigorosi. Ci alziamo in piedi. Ed ecco, a pochi centimetri da noi, appare una donna, una piccola donna circondata da personalità molto più alte di lei, molto più “ distinte” e imperiose. Ma è lei che giganteggia, è lei che sovrasta tutti: gli occhi delle migliaia di persone presenti sono tutte rivolte a questa “ gracile” donna rivestita del solo suo sari, quello di sempre, quello che la accompagna tra i suoi poveri e tra i potenti della terra.
Qualcuno si ostina a sottovalutare la dimensione del “ vedere” preferendo quella dell’”ascoltare” ,come se la “ chiarezza” della parola possa sostituire la potenza e il primato della testimonianza; noi possiamo solo dire che “ vedere” la Madre Teresa di Calcutta è stata un’esperienza sconvolgente, capace di sovvertire il nostro essere e il nostro modo di pensare e, in un certo senso, di credere. Sono stati sufficienti pochi secondi per capire che cosa significhi “ Dio è Amore” : il sorriso, lo sguardo di Madre Teresa ci “parlavano” di una vita che, in quel preciso istante, veniva donata a noi, veniva offerta a noi perché  ne traessimo forza, consolazione e insegnamento. La sua voce poi è risuonata, lieve e maestosa, semplice e luminosa. 
Le sue prime parole, non poteva essere altrimenti,  risuonarono come un richiamo materno, dolce eppure così  autorevole: “ Chiediamo alla Madonna, alla Santa Vergine, di darci il suo cuore così bello, così puto, così immacolato, il suo cuore così pieno d’amore e di umiltà, cosicché noi possiamo ricevere Gesù nel pane della vita e amarlo come Lei lo ama scoprendolo nel più povero tra i poveri”. Impressionante!! In tale invito era concentrato tutto ciò che è l’uomo, tutto ciò che rende degna la sua esistenza.  Con stupefacente tenerezza,  ha poi invitato tutti noi a pregare e ringraziare i nostri genitori “ per averci amato, per averci voluto, per averci dato la gioia della vita”…In tale modo ci aiutava a prendere coscienza del valore della vita minacciata dell’atrocità dell’aborto. Lei che, lungo le vie del mondo, si incontrava ogni giorno con le più devastanti malattie, con la morte più disumanizzante, con i conflitti più tragici, non ha avuto timore di denunciare la causa prima delle guerre e dei drammi del’umanità:  riferendosi all’episodio evangelico in cui si racconta la visita di Maria ad Elisabetta, Madre Teresa, con il coraggio proprio dei profeti, così si espresse:“Sappiamo come oggi la madre stessa uccide il figlio, e uccide in lui l’immagine e la vita stessa di Dio”. Ha difeso veramente la vita, sempre e comunque ,perché amava ogni esistenza, anche la più derelitta e sfigurata;  amava perché, come ci ricordò, “ Gesù è venuto a recarci la buona Novella che Dio ci ama, e ci chiede di amarci gli uni con gli altri così come Lui ama, ognuno di Dio…Quando moriremo e torneremo nella casa di Dio, saremo giudicati per quello che siamo stati gli uni per gli altri” . Chiarì quindi che “ essere per gli altri”, non significa solo prendersi cura dei bisogni materiali, ma è qualcosa di più, molto di più: “ La fame, disse infatti, non è soltanto una fame di pane, è una fame di amore, è una fame di amore di Dio; essere ignudi non è soltanto mancare di abiti, essere ignudi vuol dire mancare di quell’enorme dono che è la dignità dell’uomo, della purezza; il non avere una casa non significa mancare di un edificio di mattoni, significa non essere voluti, non essere amati, essere cacciati, emarginati dalla società”. Madre Teresa, e questo ci colpì già allora moltissimo, non ci illustrò proposte astratte o per noi irrealizzabili; semplicemente e con una concretezza e lucidità impressionanti, ci disse che l’amore per gli altri ha inizio “ nelle nostre famiglie, nella nostra stessa casa” e, con altrettanta lungimiranza, ci indicò la strada: “ la preghiera”: “ il frutto della preghiera è un approfondimento della fede, il frutto della fede l’amore, il frutto dell’amore è l’essere al servizio, e il frutto del servizio è la pace…..Condividere la gioia di amare: questo è qualcosa che ogni essere umano deve poter sentire e provare. La gioia di amare non è quanto diamo, ma quanto amore contiene quel che noi diamo. Per questo è così importante pregare: pregare ci dà un cuore pulito e un cuore pulito può vedere Dio, e se voi vedete Dio, l’uno nell’altro vi amerete l’un l’altro come Dio ci ama”. Parole semplici, eppure così potenti da scuotere il nostro animo, il nostro cuore, la nostra mente di giovani che si aprivano alla vita. Ma, ed è questo l’aspetto più decisivo, quelle parole ci hanno colpiti pronunciate da chi viveva nella propria vita lo sguardo d’amore di Dio e questo sguardo donava ai fratelli!! Per noi, allora giovani,l’incontro con Madre Teresa rappresentò una delle tappe fondamentali per la nostra crescita umana, spirituale e morale, una grazia, certo immeritata, ma chiaro segno dell’amore di Dio.  
In quel giorno d’agosto, abbiamo cominciato a comprendere poi le ragioni di un legame solido e profondo, tenero e vigoroso: il legame tra Madre Teresa e Giovanni Paolo II, la piccola “ matita di Dio” e il Papa..Tra un “ fratello “ed una “sorella” che volle  recarsi subito al policlinico Gemelli quando seppe dell’attentato subito dal Santo Padre; fece inoltre recitare alle sue consorelle una bellissima preghiera, segno di un’amicizia e di una devozione profondi. .
Ancora non sapevamo, non potevamo saperlo, ma un giorno entrambi, come un disegno già scritto nella mente di Dio,  a pochi anni dalla morte, sarebbero stati beatificati, additati quali modello di quella santità che già in vita era loro riconosciuta. 

mercoledì 5 settembre 2012


"Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro"

L’Europa sta attraversando uno dei periodi più difficili. La crisi economica, al di là di tutte le possibili e legittimi analisi, presenta un dato realmente drammatico, ma anche tragico: l’aumento della disoccupazione che investe moltissimi settori della nostra economia senza risparmiare alcuna regione geografica. Le notizie che giungono dalla Sardegna,ma non solo, riassumono la difficile e complessa condizione in cui versano ormai numerosissime famiglie italiane.
La disoccupazione scriveva Giovanni Paolo  II nel 1981, “è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale. Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a trovare un posto di lavoro e vedono penosamente frustrate la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità.(Laborem exercens,18); d’altra parte, come sosteneva sempre il Papa, Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo» ( ibidem, 9). Dio stesso  nel momento in cui lo invitava a «soggiogare la terra» , ricordava Giovanni Paolo II, ha chiamato l’uomo a farsi, in un certo senso “ co-creatore”, soggetto personale, capace di  realizzare la propria umanità in virtù delle azioni da lui compiute. Giovanni Paolo II, riferendosi al Nuovo Testamento, parla anche di “ Vangelo del lavoro” considerando la vita di Cristo, definita “  inequivocabile” in quanto, scrive il Papa “Egli appartiene al «mondo del lavoro», ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre” (ibidem, 26).
Il lavoro, quindi, non è solo “un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno», cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce” (ibidem, 9).. O, per riprendere i versi di don Karol Wojtyla, “ Tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo “ ( La cava di pietra, I Materia).  E questo anche per quella fatica, quel sacrificio, quegli stessi pericoli insiti nel lavoro umano. Karol Wojtyla, il giovane che, con gli zoccoli ai piedi, percorreva Km di strada, spesso nella notte gelida della Polonia, conosceva bene la durezza del lavoro quando scriveva: “ Dura e piagata, la mano variamente si gonfia serrando il martello……/Le mani sono un paesaggio. Quando si spaccano, nelle, nelle piaghe/ sale il dolore e scorre libero, a flotti”.
Ma ogni gesto, pur carico di fatica e di dolore, ha una sua dignità, un senso profondo che rende il lavoro umano qualcosa di veramente nobile: non è la “corrente elettrica” a sciogliere l’intrico di forze” che permette di infrangere la compatta e dura pietra, “ma l’uomo che quelle forze tiene nelle sue mani: l’operaio”( da “ La cava di pietra I). La stessa grandezza dell’uomo “ non coincide” con il dolore dello sforzo fisico e morale, ma consiste in Qualcosa – Qualcuno “ di cui egli stesso ignora l’esatta definizione”.
Alla luce di tutto ciò, è evidente quanto l’assenza del lavoro o la sua precarietà, rappresentino un grave vulnus per una società che si vuole definire moderna; si tratta, infatti, di una ferita che mina dalle fondamenta l’essenza stessa della dignità dell’uomo, quindi dell’intera umanità.

Nel 1987, Giovanni Paolo II metteva in guardia , indicando “ una crisi economica mondiale” tra i “pericoli incombenti che minacciano tutti” ( Sollicitudo rei socialis,conclusione). Il Papa non era un “economista”, ma neppure un ingenuo; realisticamente e, diciamo noi, profeticamente, vedeva con chiarezza quanto sia fallimentare  un’economia che escluda la dimensione “ culturale, trascendente e religiosa” , perchè incapace di interagire con la realtà concreta e profonda dell’uomo, con i suoi reali bisogni, con la sua essenza più vera. Non a caso, nel 1991, quando il mondo celebrava la “ Caduta del muro”come l’avvento di una nuova era di sviluppo, progresso e benessere,  il Papa denunciava la crisi di una società fondata non su autentici valori. Così scriveva: “Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.” ( Centesimus Annus, 47) . Ciò significa che nessun sistema economico, anche nel XXI secolo, potrà mai prescindere dal bene comune e, soprattutto, dal fine ultimo: permettere all’uomo di realizzarsi in quanto “ Creatura di Dio”. Il lavoro, in tal senso, è la dimensione fondamentale attraverso la quale  continua “ l’opera della Creazione” affidata all’uomo da Dio!!  L’uomo, quindi, è il vero protagonista del lavoro, l’artefice e il soggetto. Dimenticare tutto questo, affidarsi a logiche lontane da una visione integrale dell’uomo, come la storia dimostra, non può che produrre, come conseguenza irreversibile,   l’annientamento della società e, in ultima istanza della civiltà, pr opulenta e progredita. Il Papa era conscio di tutto questo e, preoccupato del destino dell’uomo, già nella sua prima omelia invitava tutti ad una conversione del cuore e della mente; ad una società che celebrava la “ morte di Dio” e la “ liberazione dell’uomo”, con parole veramente rivoluzionarie allora, indicava l’unica via possibile, l’unica capace di promuovere un vero e duraturo progresso:
«Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! ». Questo potente e inatteso grido, anche se riproposto spesso dai media, forse non è stato abbastanza ascoltato e compreso nella sua reale portata …Troppo dirompente e noi troppo miopi. Forse, verrebbe da dire, se avessimo dato più credito all’audacia di un simile messaggio, oggi non saremmo così smarriti e sfiduciati di fronte alle crisi che investono il mondo, soprattutto la civiltà occidentale. Rileggere le cosiddette “ encicliche sociale” del Papa Beato, potrebbe essere un modo per rispondere alle sfide complesse a cui siamo chiamati tutti, un modo per riscoprire ( o scoprire) una freschezza e una lucidità intellettuali e spirituali di cui abbiamo, nonostante tutto, ancora bisogno!