mercoledì 21 novembre 2012


Un Papa e l’Italia

Il 14 Novembre il Parlamento ha voluto ricordare un evento che non è esagerato definire epocale.
Il rapporto tra le Istituzioni dello Stato Italiano e quelle della Chiesa ( nello specifico, lo Stato del Vaticano),  nel corso della loro lunga storia è stato segnato da numerose e gravi conflittualità, non raramente causa di ferite profonde e laceranti. Certamente la “ Presa di Porta Pia ( 20 settembre 1870) sancì di fatto la fine del potere temporale della Chiesa, ma anche l’inizio della fase forse più drammatica di una plurisecolare disputa che aveva coinvolto, da una parte, la Chiesa e, dall'altra l' Impero, Comuni, Signorie prima, e, quindi lo Stato italiano.
In fondo, al di là della cosiddetta “ questione romana”, anche nel corso della seconda metà del XXI non sono mancate incomprensioni . Forse il Trattato  Stato – Chiesa firmato nel 1984 ha, almeno in parte, chiarito alcuni aspetti fino ad allora fonte di accese discussioni ed equivoci. La premessa era necessaria.
Quando il Papa Giovanni Paolo II, il 14 Novembre 2002, ha fatto il suo ingresso nell'Aula di Montecitorio, sede del Parlamento italiano, non pochi, allora, compresero la straordinarietà dell’evento. Per quanto da tempo i rapporti tra Stato e Chiesa fossero sensibilmente migliorati, la presenza del Papa, Capo anche dello Stato del Vaticano, rappresentava simbolicamente l’avvenuta ricucitura di una ferita che per troppi secoli aveva lacerato la società italiana. In quell'occasione qualcuno fece notare, non a torto,la nazionalità del Pontefice che stava facendo il suo ingresso nel cuore delle Istituzioni Italiane, il Parlamento, simbolo della sovranità nazionale: un non Italiano, per di più Polacco. Per chi crede nulla avviene casualmente; un disegno guida gli eventi della Storia, sempre e comunque. Forse solo un Papa straniero, libero da quei “lacci” costituiti da un passato, forse anche un presente, glorioso, ma anche ingombrante, poteva presentarsi davanti ad un Parlamento per lanciare un messaggio alto e universale. Non solo: Giovanni Paolo II, provenendo da una Nazione in cui la Chiesa era sempre stata motivo di coesione di un popolo, una Chiesa che si identificava con la stessa Nazione e la cui nascita coincide con il suo “ battesimo”, più di chiunque altro aveva autorità e credibilità!!

Giovanni Paolo II che già allora era considerato il “ Papa di tutti”, anche del suo nemico di sempre “ Marco Pannella” ( significativo il saluto tra i due, per nulla di circostanza!!) si dimostrò ancora una volta profetico nella sua lucida e appassionata disamina del passato, del presente e del futuro.

Passato

"Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l'identità sociale e culturale dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo”

Il Papa ha ribadito  che la civiltà Roma, con il suo patrimonio culturale e morale, con la ricchezza del suo pensiero politico e giuridico, ha posto le basi , le fondamenta di quell’humanitas il cui compimento si sarebbe manifestato con l’avvento del cristianesimo. Già i Romani, infatti, non solo avevano sentenziato che ogni diritto ha come riferimenti l’uomo, ma avevano posto la conseguenza politica di tale convinzione:la res publica ( la cosa pubblica)  deve costituire la vera ed unica finalità di quanti operano nell’ambito politico. Cicerone, il grande oratore romano, definisce “ beati coloro che “hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria” ( Somnium Scipionis). Una lezione tutt’altro che  anacronistica!!
D’altra parte, solo con il Cristianesimo la visione dell’uomo, quindi dei suoi diritti, ha trovato la ragione ultima e definitiva, capace di offrire una risposta totalizzante al bisogno di dignità insita nell’uomo di ogni tempo e spazio geografico.

Presente

 “Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall'opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all'edificazione del bene comune della Nazione”

Le sfide che il papa allora scorgeva con impressionante chiarezza continuano ad interpellare tutti noi. La democrazia, Giovanni Paolo II lo sapeva bene, non è un punto d’arrivo, ma di partenza. I conflitti politici, la corruzione, la crisi dei valori, un errata concezione della libertà, la condizione della giustizia e delle carceri, la denatalità: il Papa non ebbe allora timore di denunciare tutto questo. Non era un idealista e neppure un ingenuo e conosceva al tal punto i problemi dell’Italia da voler elevare una preghiera per il Paese che tanto amava. Ma, lo sappiamo bene, il Papa non si chiudeva in un laconico pessimismo, in visioni “ apocalittiche”, piuttosto indicava la strada da seguire per ridare a tutti noi Italiani, ma non solo, il coraggio di lottare per il nostro futuro

Futuro

“E’ necessario stare in guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole nazioni”

Un profeta non di sventura, ma un padre a cui stanno a cuore i suoi figli, prima di tutto, dimostra fiducia, dona speranza, non sermoni. La fiducia manifestata da Giovanni Paolo II non aveva però il sapore del paternalismo  né era fondata su principi astratti: egli, infatti, davanti ai parlamentari parlò di “una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi”, unendo così passato, presente e futuro.
 L’azione politica,come già affermavano gli antichi, è tesa  infatti alla realizzazione del “ bene comune” ; in un certo senso si giustifica solo in una prospettiva di “ cooperazione solidale” attraverso cui è possibile affermare la dignità non solo del cittadino, ma soprattutto della persona in quanto Immagine di Dio. Giovanni Paolo II, nel ricordare questa verità, sollecitava i presenti a non considerare l’esistenza umana come un coacervo di eventi casuali o dettati solo da una cieca necessità, secondo la lezione di Machiavelli.Egli, piuttosto, indicava la presenza di una “ logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli"
Ed appunto a tale “ logica morale” il Papa si richiamava quando, citando una sua  Enciclica dal valore profetico, individuava  il “rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità”. Ed allora, per  Giovanni Paolo II la “ logica  morale”, lungi dall’essere un mero codice adattabile alle circostanze ed ai tempi, trova la sua ragione più profonda e duratura nella “verità ultima” , quella Rivelata da Cristo e dal suo Amore donato all’umanità. Il Papa, con una lucidità impressionante e un ‘ audacia propria dei veri profeti, non ebbe allora il timore di affermare che “se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l'azione politica, le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia"!!Chi, più di Giovanni Paolo II, avrebbe potuto pronunciare simili parole?

Cosciente delle grandi sfide che avrebbero impegnato l’Italia e il mondo, il vecchio Papa, concludendo il suo discorso, volle allora  lanciare un monito, il suo lascito culturale, morale e spirituale: “Per questa grande impresa, dai cui esiti dipenderanno nei prossimi decenni le sorti del genere umano, il cristianesimo ha un'attitudine e una responsabilità del tutto peculiari: annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione. L'Italia e le altre Nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace, non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni. Illustri Rappresentanti del Popolo italiano, dal mio cuore sgorga spontanea una preghiera: da questa antichissima e gloriosa Città - da questa "Roma onde Cristo è Romano", secondo la ben nota definizione di Dante (Purg. 32, 102) -chiedo al Redentore dell'uomo di far sì che l'amata Nazione italiana possa continuare, nel presente e nel futuro, a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale e spirituale del mondo intero”.
Le parole di un profeta, parole quanto mai attuali in un periodo di grave smarrimento, di incertezza, di rassegnazione.