"Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro"
L’Europa sta
attraversando uno dei periodi più difficili. La crisi economica, al di là di
tutte le possibili e legittimi analisi, presenta un dato realmente drammatico,
ma anche tragico: l’aumento della disoccupazione che investe moltissimi settori
della nostra economia senza risparmiare alcuna regione geografica. Le notizie
che giungono dalla Sardegna,ma non solo, riassumono la difficile e complessa
condizione in cui versano ormai numerosissime famiglie italiane.
La
disoccupazione scriveva Giovanni Paolo
II nel 1981, “è in ogni caso un
male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità
sociale. Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono
colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante
un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a
trovare un posto di lavoro e vedono penosamente frustrate la loro sincera
volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria
responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità.(Laborem
exercens,18); d’altra parte, come sosteneva sempre il Papa, Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene
della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità,
ma anche realizza se stesso come
uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo» ( ibidem, 9). Dio
stesso nel momento in cui lo invitava a
«soggiogare la terra» , ricordava Giovanni Paolo II, ha chiamato l’uomo a
farsi, in un certo senso “ co-creatore”, soggetto personale, capace di realizzare la propria umanità in virtù delle
azioni da lui compiute. Giovanni Paolo II, riferendosi al Nuovo Testamento,
parla anche di “ Vangelo del lavoro” considerando la vita di Cristo, definita
“ inequivocabile” in quanto, scrive il
Papa “Egli appartiene al «mondo del
lavoro», ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le
sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della
somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre” (ibidem, 26).
Il
lavoro, quindi, non è solo “un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno»,
cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità
e la accresce” (ibidem, 9).. O, per riprendere i versi di don Karol Wojtyla, “ Tutta la grandezza del lavoro è dentro
l’uomo “ ( La cava di pietra, I Materia).
E questo anche per quella fatica, quel sacrificio, quegli stessi
pericoli insiti nel lavoro umano. Karol Wojtyla, il giovane che, con gli
zoccoli ai piedi, percorreva Km di strada, spesso nella notte gelida della
Polonia, conosceva bene la durezza del lavoro quando scriveva: “ Dura e
piagata, la mano variamente si gonfia serrando il martello……/Le mani sono un
paesaggio. Quando si spaccano, nelle, nelle piaghe/ sale il dolore e scorre
libero, a flotti”.
Ma
ogni gesto, pur carico di fatica e di dolore, ha una sua dignità, un senso
profondo che rende il lavoro umano qualcosa di veramente nobile: non è la “corrente
elettrica” a sciogliere l’intrico di forze” che permette di infrangere la compatta
e dura pietra, “ma l’uomo che quelle forze tiene nelle sue mani: l’operaio”( da
“ La cava di pietra I). La stessa grandezza dell’uomo “ non coincide” con il
dolore dello sforzo fisico e morale, ma consiste in Qualcosa – Qualcuno “ di cui egli stesso ignora l’esatta
definizione”.
Alla
luce di tutto ciò, è evidente quanto l’assenza del lavoro o la sua precarietà,
rappresentino un grave vulnus per una
società che si vuole definire moderna; si tratta, infatti, di una ferita che
mina dalle fondamenta l’essenza stessa della dignità dell’uomo, quindi
dell’intera umanità.
Nel
1987, Giovanni Paolo II metteva in guardia , indicando “ una crisi economica
mondiale” tra i “pericoli incombenti che
minacciano tutti” ( Sollicitudo rei socialis,conclusione). Il Papa non era
un “economista”, ma neppure un ingenuo; realisticamente e, diciamo noi,
profeticamente, vedeva con chiarezza quanto sia fallimentare un’economia che escluda la dimensione “
culturale, trascendente e religiosa” , perchè incapace di interagire con la
realtà concreta e profonda dell’uomo, con i suoi reali bisogni, con la sua
essenza più vera. Non a caso, nel 1991, quando il mondo celebrava la “ Caduta
del muro”come l’avvento di una nuova era di sviluppo, progresso e benessere, il Papa denunciava la crisi di una società
fondata non su autentici valori. Così scriveva: “Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate
secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza
elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del
costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente
diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla
popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente
incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del
bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari,
ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata
gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della
dignità e dei diritti della persona.” ( Centesimus Annus, 47) . Ciò significa
che nessun sistema economico, anche nel XXI secolo, potrà mai prescindere dal
bene comune e, soprattutto, dal fine ultimo: permettere all’uomo di realizzarsi
in quanto “ Creatura di Dio”. Il lavoro, in tal senso, è la dimensione fondamentale
attraverso la quale continua “ l’opera
della Creazione” affidata all’uomo da Dio!! L’uomo, quindi, è il vero protagonista del
lavoro, l’artefice e il soggetto. Dimenticare tutto questo, affidarsi a logiche
lontane da una visione integrale dell’uomo, come la storia dimostra, non può
che produrre, come conseguenza irreversibile, l’annientamento
della società e, in ultima istanza della civiltà, pr opulenta e progredita. Il
Papa era conscio di tutto questo e, preoccupato del destino dell’uomo, già nella
sua prima omelia invitava tutti ad una conversione del cuore e della mente; ad
una società che celebrava la “ morte di Dio” e la “ liberazione dell’uomo”, con
parole veramente rivoluzionarie allora, indicava l’unica via possibile, l’unica
capace di promuovere un vero e duraturo progresso:
«Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice
potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici,
i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa
“cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! ». Questo potente e inatteso grido,
anche se riproposto spesso dai media, forse non è stato abbastanza ascoltato e
compreso nella sua reale portata …Troppo dirompente e noi troppo miopi. Forse,
verrebbe da dire, se avessimo dato più credito all’audacia di un simile
messaggio, oggi non saremmo così smarriti e sfiduciati di fronte alle crisi che
investono il mondo, soprattutto la civiltà occidentale. Rileggere le cosiddette
“ encicliche sociale” del Papa Beato, potrebbe essere un modo per rispondere
alle sfide complesse a cui siamo chiamati tutti, un modo per riscoprire ( o
scoprire) una freschezza e una lucidità intellettuali e spirituali di cui
abbiamo, nonostante tutto, ancora bisogno!