mercoledì 5 settembre 2012


"Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro"

L’Europa sta attraversando uno dei periodi più difficili. La crisi economica, al di là di tutte le possibili e legittimi analisi, presenta un dato realmente drammatico, ma anche tragico: l’aumento della disoccupazione che investe moltissimi settori della nostra economia senza risparmiare alcuna regione geografica. Le notizie che giungono dalla Sardegna,ma non solo, riassumono la difficile e complessa condizione in cui versano ormai numerosissime famiglie italiane.
La disoccupazione scriveva Giovanni Paolo  II nel 1981, “è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale. Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a trovare un posto di lavoro e vedono penosamente frustrate la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità.(Laborem exercens,18); d’altra parte, come sosteneva sempre il Papa, Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo» ( ibidem, 9). Dio stesso  nel momento in cui lo invitava a «soggiogare la terra» , ricordava Giovanni Paolo II, ha chiamato l’uomo a farsi, in un certo senso “ co-creatore”, soggetto personale, capace di  realizzare la propria umanità in virtù delle azioni da lui compiute. Giovanni Paolo II, riferendosi al Nuovo Testamento, parla anche di “ Vangelo del lavoro” considerando la vita di Cristo, definita “  inequivocabile” in quanto, scrive il Papa “Egli appartiene al «mondo del lavoro», ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre” (ibidem, 26).
Il lavoro, quindi, non è solo “un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno», cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce” (ibidem, 9).. O, per riprendere i versi di don Karol Wojtyla, “ Tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo “ ( La cava di pietra, I Materia).  E questo anche per quella fatica, quel sacrificio, quegli stessi pericoli insiti nel lavoro umano. Karol Wojtyla, il giovane che, con gli zoccoli ai piedi, percorreva Km di strada, spesso nella notte gelida della Polonia, conosceva bene la durezza del lavoro quando scriveva: “ Dura e piagata, la mano variamente si gonfia serrando il martello……/Le mani sono un paesaggio. Quando si spaccano, nelle, nelle piaghe/ sale il dolore e scorre libero, a flotti”.
Ma ogni gesto, pur carico di fatica e di dolore, ha una sua dignità, un senso profondo che rende il lavoro umano qualcosa di veramente nobile: non è la “corrente elettrica” a sciogliere l’intrico di forze” che permette di infrangere la compatta e dura pietra, “ma l’uomo che quelle forze tiene nelle sue mani: l’operaio”( da “ La cava di pietra I). La stessa grandezza dell’uomo “ non coincide” con il dolore dello sforzo fisico e morale, ma consiste in Qualcosa – Qualcuno “ di cui egli stesso ignora l’esatta definizione”.
Alla luce di tutto ciò, è evidente quanto l’assenza del lavoro o la sua precarietà, rappresentino un grave vulnus per una società che si vuole definire moderna; si tratta, infatti, di una ferita che mina dalle fondamenta l’essenza stessa della dignità dell’uomo, quindi dell’intera umanità.

Nel 1987, Giovanni Paolo II metteva in guardia , indicando “ una crisi economica mondiale” tra i “pericoli incombenti che minacciano tutti” ( Sollicitudo rei socialis,conclusione). Il Papa non era un “economista”, ma neppure un ingenuo; realisticamente e, diciamo noi, profeticamente, vedeva con chiarezza quanto sia fallimentare  un’economia che escluda la dimensione “ culturale, trascendente e religiosa” , perchè incapace di interagire con la realtà concreta e profonda dell’uomo, con i suoi reali bisogni, con la sua essenza più vera. Non a caso, nel 1991, quando il mondo celebrava la “ Caduta del muro”come l’avvento di una nuova era di sviluppo, progresso e benessere,  il Papa denunciava la crisi di una società fondata non su autentici valori. Così scriveva: “Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.” ( Centesimus Annus, 47) . Ciò significa che nessun sistema economico, anche nel XXI secolo, potrà mai prescindere dal bene comune e, soprattutto, dal fine ultimo: permettere all’uomo di realizzarsi in quanto “ Creatura di Dio”. Il lavoro, in tal senso, è la dimensione fondamentale attraverso la quale  continua “ l’opera della Creazione” affidata all’uomo da Dio!!  L’uomo, quindi, è il vero protagonista del lavoro, l’artefice e il soggetto. Dimenticare tutto questo, affidarsi a logiche lontane da una visione integrale dell’uomo, come la storia dimostra, non può che produrre, come conseguenza irreversibile,   l’annientamento della società e, in ultima istanza della civiltà, pr opulenta e progredita. Il Papa era conscio di tutto questo e, preoccupato del destino dell’uomo, già nella sua prima omelia invitava tutti ad una conversione del cuore e della mente; ad una società che celebrava la “ morte di Dio” e la “ liberazione dell’uomo”, con parole veramente rivoluzionarie allora, indicava l’unica via possibile, l’unica capace di promuovere un vero e duraturo progresso:
«Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! ». Questo potente e inatteso grido, anche se riproposto spesso dai media, forse non è stato abbastanza ascoltato e compreso nella sua reale portata …Troppo dirompente e noi troppo miopi. Forse, verrebbe da dire, se avessimo dato più credito all’audacia di un simile messaggio, oggi non saremmo così smarriti e sfiduciati di fronte alle crisi che investono il mondo, soprattutto la civiltà occidentale. Rileggere le cosiddette “ encicliche sociale” del Papa Beato, potrebbe essere un modo per rispondere alle sfide complesse a cui siamo chiamati tutti, un modo per riscoprire ( o scoprire) una freschezza e una lucidità intellettuali e spirituali di cui abbiamo, nonostante tutto, ancora bisogno!