sabato 4 agosto 2012


Le vacanze di un Papa…una sedia gialla ed una catechesi continua

 

La montagna  era connaturale alla sua spiritualità. Nelle montagne contemplava le opere di Dio, e lui si abbandonava al loro Creatore. Finito di mangiare, prendeva a camminare, da solo, anche per ore: così, diceva, stava a quattr’occhi con il Signore 

S. DZIWISZ, Una vita con Karol


Dinanzi al maestoso spettacolo di queste cime possenti e di queste nevi immacolate, il pensiero sale spontaneamente a Colui che di queste meraviglie è il creatore: “Da sempre e per sempre tu sei, Dio”. In ogni tempo l’umanità ha considerato i monti come il luogo di un’esperienza privilegiata di Dio e della sua incommensurabile grandezza. L’esistenza dell’uomo è precaria e mutevole, quella dei monti è stabile e duratura: eloquente immagine dell’immutabile eternità di Dio. Sui monti tace il frastuono caotico della città e domina il silenzio degli spazi sconfinati: un silenzio, in cui all’uomo è dato di udire più distintamente l’eco interiore della voce di Dio. Guardando le cime dei monti si ha l’impressione che la terra si proietti verso l’alto quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l’uomo sente in qualche modo interpretata la sua ansia di trascendenza e di infinito. Quale suggestione si prova nel guardare il mondo dall’alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva d’insieme! L’occhio non si sazia di ammirare né il cuore di ascendere ancora; riecheggiano nell’animo le parole della liturgia: “Sursum corda”, che invitano a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là del tempo, verso la vita futura. [ Aosta, Angelus 7 Settembre 1986]


 "Davanti a questo panorama di prati, boschi, torrenti, cime svettanti verso il cielo, noi tutti ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie delle sue opere e vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione; queste montagne infatti suscitano nel cuore il senso dell'infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime». [Val Visdende, Belluno, 12 Luglio 1987]

La montagna da sempre ispira  illuminati pensatori, geniali poeti, letterati, artisti;  ha in sé qualcosa di speciale, di unico perché rappresenta l’uomo con le sue aspirazioni, i suoi aneliti, il suo desiderio di realizzazione; in una parola, rappresenta la VITA, cioè il cammino dell’esistenza umana tesa sempre e comunque verso obiettivi alti o, semplicemente, verso quella meta che dà compimento e senso all’agire, all’amare e al soffrire dell’uomo. La Vita è una continua salita impegnativa, non priva di ostacoli, di imprevisti, di pericoli, proprio come l’ascesa ad un monte.
I “sentieri” della vita, infatti, così come quelli di un monte, sono spesso impervi ed erti e non sempre facilmente percorribili. Anzi, chi sceglie quelli più facili e agevoli, magari scorciatoie, alla fine si smarrisce senza trovare la meta finale, come chiarisce splendidamente Petrarca in una lettera scritta al fratello dopo la sua salita al monte Ventoso ( Provenza, Francia). Lo stesso Dante più volte fa riferimento alla metafora della montagna per indicare il destino dell’uomo, quindi il significato della sua vita. Non è un caso che il Poeta, richiamandosi in parte alla tradizione, costruisca tutto il suo sistema cosmologico sulla struttura del monte, uno dei quali, l’Inferno, è rovesciato, mentre l’altro è un colle, il Purgatorio, la cui salita appare obbligata per raggiungere il Paradiso.
Ma soprattutto la Bibbia, per altro ispiratrice dei grandi Poeti citati, ci propone immagini della montagna cariche di straordinaria eloquenza teologica e antropologica: il Sinai,dove Dio ha “parlato” all’uomo; Moria, il monte testimone della fede di Abramo. Gesù  pronunciò il “ Discorso delle Beatitudini”, su  un monte e fu crocifisso sul Golgota; come non ricordare poi l’apparizione di Maria sul Monte Carmelo? Questi sono solo alcuni esempi. Da tutto ciò si evince comunque quale ruolo occupi la montagna nella storia dell’umanità e, in particolare, nella sua dimensione religiosa, escatologica e antropologica.

Mons. Careggio , che spesso accompagnava il Papa,scrive: “ Se si pensa che Dio sui monti ha incontrato l’uomo, che  lo stesso Gesù Cristo amava appartarsi solo sul monte per pregare, non stupisce affatto il desiderio del suo Vicario che voleva salire sempre più in alto, per soddisfare la sua sete di altezze e di intimi colloqui con l’Infinito” [ cfr Giovanni Paolo II, l’uomo delle alte vette pag. 54].
Giovanni Paolo II viveva veramente la montagna, anzi, potremmo dire, come la si deve vivere, come la vivono i veri montanari. Con le vecchie scarpe e il bastone da montanaro,  affrontava salite difficile , si arrampicava lungo sentieri rocciosi ed erti, leggeva seduto su un tronco d’albero o in un’insenatura rocciosa circondata dal verde di una natura rigogliosa; consumava quindi il frugale pranzo al sacco con i suoi accompagnatori, guardie comprese, con i quali, al termine, amava intonare qualche canto tradizionale: il Papa, è bene ricordare, “ non incontrò mai la montagna da solitario, era lui stesso a volerlo” ; si intratteneva “ con tutti, specie con chi incontrava lungo i sentieri”: escursionisti, montanari, pastori.( ibidem, pag 61) . Al riguardo è stupenda la fotografia che lo ritrae mentre conversa con dei contadini in tenuta da lavoro, mentre una donna gli porge un semplicissimo vassoio contenente dei dolci da lei preparati..
Durante una dei suoi soggiorni in Val d’Aosta, invitato da un gruppo di giovani, partecipò ad un loro incontro che prevedeva, per altro, anche canti intorno ad un falò: come un semplice curato, egli, seduto in cerchio, condivideva la gioia dei suoi giovani amici. Nell'estate 1987 , durante una delle escursioni, giunse inaspettatamente nel paese di Costalta, dove incontrò gli abitanti, increduli di fronte alla vista del Papa che, poi, pranzò in Canonica con il Parroco. 
Amava la montagna, ne amava i colori, i suoni o i non suoni, ma amava anche la fatica, i disagi, gli sforzi che essa impone all’uomo che vuole giungere alla meta. Racconta Lino Zani che un giorno, dopo un’escursione piuttosto impegnativa, la comitiva papale giunse ai piedi di un’altura rocciosa sulla cui cima vi era un crocifisso: il Papa, nonostante le resistenze da parte del suo seguito, si arrampicò manifestando l’urgenza di pregare in quel luogo; i presenti, rimasti ad attenderlo alla base, furono sconvolti dall’intensità e dalla durata della preghiera che si faceva contemplazione.
 Quanti racconti custodiscono i pochi privilegiati testimoni di piccoli eventi di grande santità!! Del resto  in Giovanni Paolo II, in  una sintesi stupefacente, si  concentravano l’elemento mistico, quello metafisico, quello estetico e trascendente plasmando una personalità dalla rara capacità di penetrazione sia del mondo interiore sia di quello esterno; “ provava, così, una forte emozione nel cogliere la voce della natura, ascoltare ogni minimo fruscio, respirare gli intensi profumi del bosco. Amava godersi il sole, l’aria, il vento, l’acqua tumultuosa e spumeggiante dei torrenti”così come, “ intenso era il desiderio di toccare la montagna , anche quando la nebbia o la pioggia tentavano di dissuaderlo senza riuscirci” La ragione di una simile tensione è ben spiegata sempre da Mons. Careggio: “vette e i ghiacciai, come le stelle del cielo, il fragore dei torrenti e delle cascate, i placidi laghi alpini, le verdi praterie per Giovanni Paolo II non furono altro che il linguaggio di Dio e il loro parlare a noi di Dio” ; pertanto,“ teologia e profezia, bellezza e potenza, profondi silenzi e voci arcane: questa è la montagna che il Papa ha celebrato con accenti di sublime poesia” ( ibidem, pag,53).
E lo ha fatto fino alla fine, persino in quell’ultima estate del 2004 quando, impossibilitato a camminare, è comunque “ salito” sulle ”sue” montagne per contemplare la maestosa semplicità  di Dio, per volgere a Lui lo sguardo in uno slancio d’amore mistico che preludeva l’Unione definitiva con l’Infinito Amore il cui abbraccio lo avrebbe accolto solo pochi mesi dopo. Abbiamo avuto la grazia, a due mesi dalla morte del Grande Papa, di vedere quella semplice e comune sedia dal tessuto giallo su cui, l’anno prima, si era seduto per contemplare la bellezza del Creato; in quel momento moti di tristezza, di malinconia, di nostalgia, di gratitudine, di gioia e di stupore hanno pervaso i nostri cuori e le nostre menti: quella banalissima sedia ci “parlava” di un’assenza, di un vuoto incolmabile, ma ci “parlava” anche di uomo che,  privato persino della forza di camminare e parlare, da quella sedia volgeva lo sguardo verso la vallata, i boschi e i sentieri dei monti, tante volte percorsi, e, contemporaneamente, invitava noi tutti a ad abbandonarci a Dio, al Suo Infinito Amore; ci invitava ad alzare le nostre menti e i nostri cuori, intorpiditi e accartocciati su se stessi, verso mete più alte e luminose…ci invitava a “ scalare la montagna della Vita”, proprio come lui aveva fatto per tutta la sua esistenza. Ecco, questo ci diceva quella comunissima sedia gialla!!

Le vacanze di Giovanni Paolo II , “teologo della montagna”, hanno rappresentato un’ulteriore grandiosa catechesi che il grande Papa ha voluto donare a noi, suoi figli, indicandoci così la Via che conduce alla vera felicità e alla vera pienezza . Ancora una volta si è mostrato a noi quale maestro di umanità e di vita: godendo delle “ sue vacanze” , il Papa ha insegnato a noi a godere pienamente delle “ nostre vacanze”!!