martedì 14 agosto 2012


Il Magnificat, Canto di “ fede, speranza e amore”

Come spesso ricordiamo in questo nostro blog,  ci sono degli eventi che, per la loro forza evocativa, si trasfigurano, divenendo loro stessi “parola” e “messaggio” non traducibili né trasferibili in alcuna forma dialettica, sia questa scritta o orale. Può accadere, quindi, che la parola coincida con la realtà viva, carnale, di chi la pronuncia (o semi-pronuncia), fatto questo né scontato né frequente.
A Lourdes,otto anni fa, abbiamo toccato con mano il senso profondo e vertiginoso del Magnificat; in un certo senso lo abbiamo “ visto”, ne abbiamo pregustato la grandezza e tutta la Bellezza racchiusa in parole dal soffio divino ed  umano insieme.  Abbiamo “ sentito” evocare come presenza reale  la « gioia della Vergine Maria, la gioia per sapersi “guardata” da Dio nonostante la propria “bassezza”; la gioia per il “ servizio che le è possibile rendere, grazie alle “grandi cose” a cui l’ha chiamata l’Onnipotente; la gioia per il pregusta mento delle beatitudini escatologiche, riservate agli “ umili” e agli “ affamati”» [Lourdes Omelia 15 Agosto 2004].  Abbiamo “visto” con i nostri occhi che cosa significhi contemplare “con ardente amore, come Maria insegna, il volto di Cristo, nella certezza che solo da “Lui tutta la nostra vita riceve luce e speranza”.  Abbiamo compreso, con la mente e con il cuore, che pregare con la Madre di Gesù, “ camminare con  Lei nel pellegrinaggio della fede, della speranza e dell’amore”, significa sperimentare nella propria esistenza la Grandezza dell’Opera di Dio, significa riconoscere in noi stessi il Dono ricevuto e, quindi, l’amore capace di vincere le nostre paure, le nostre solitudini, i nostri mille “ perché” che, ragionevolmente, attanagliano, e spesso affliggono, la nostra quotidianità.  E riconoscere in noi il Dono, può trasformarsi in apertura : come Maria che visita Elisabetta, siamo chiamati a farci carico concretamente del destino di quanti il Signore pone sulla nostra strada, in una donazione  totale che “ nulla chiede in cambio”.
E, alla fine, abbiamo “visto” e “sentito” la Grazia e la Gioia che avvolgono chi, “raggiunta la meta”, è ormai proteso verso il suo Signore. Verrebbe da dire: abbiamo “visto” la Letizia e ne siamo rimasti sconvolti!!
Tutto questo è accaduto nei giorni avvolti dalla calura estiva ferragostana, il 14 e 15 Agosto 2004, quando il  mondo intero ha assistito a qualcosa di impensabile e inatteso, forse di imbarazzanti.
Giovanni Paolo II, ormai allo stremo, deve andare a “salutare” per l’ultima volta Colei che, presto, lo abbraccerà  definitivamente in cielo. Non cammina più, non riesce a completare la lettura dei discorsi, è piegato su se stesso, ma deve, vuole andare. Già questa sua tenacia è per noi tutti un insegnamento straordinario, così come lo è la scelta di vivere “ malato tra malati” questo suo ultimo pellegrinaggio. Presso la grotta di Massabielle, i suoi occhi sembrano proiettarsi in una dimensione oltre lo spazio e il tempo; il suo sguardo, di una tenerezza e gioia indescrivibili, sembra “incontrare” quello di Maria in un affidamento filiale che ora si fa totale, immenso e reale. Tutti i presenti non possono che assistere ad un dialogo che nessuna parola e nessun ragionamento umano sono in grado di spiegare.
In quel pomeriggio di Agosto, il “ Totus Tuus” , l’essere “ tutto per Maria” per appartenere totalmente a Cristo, ha raggiunto l’apoteosi, la sua sublimazione nella debolezza e nella fragilità di un uomo che, ostinatamente, ha voluto  inginocchiarsi davanti alla Madre, ha voluto aggrapparsi, con tutte le sue ormai esili forze, all’inginocchiatoio dal quale stava scivolando lentamente un corpo ormai incapace di reggersi. Il Magnificat di Maria, allora,  si è  “incontrato” con il Magnificat di un giovane poeta che, rispondendo ad un’urgenza del cuore, aveva alzato il suo inno di lode a Dio:  nella sofferenza lieta di un uomo il mondo poté quindi vedere quanto siano grandi le meraviglie di Dio, quanto sia potente il Suo Amore quando, come Maria, si fa della propria esistenza quel fiat che, in un totale abbandono a Lui e alla Sua Volontà, rende luminosa la vita di ognuno di noi, nel momento della giovinezza e della forza, ma, ancor di più, nel periodo della sofferenza, della vecchiaia e della morte!!  

Esalta, anima mia, la gloria del Signore,
Padre d’immensa Poesia – così buono.

Egli ha cinto la mia giovinezza di un ritmo stupendo,
ha forgiato il mio canto sopra un’incudine di quercia.

In te risuoni, anima mia, la gloria del tuo Signore,
Artefice dell’angelica Sapienza – Artefice clemente…..

Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi
-la mia strada è fitta di betulle, fitta di querce-
Ecco, io sono la terra dei campi, sono un maggese assolato,
ecco, io sono un giovane crinale roccioso dei Tatra….

Benedetto è l’Intagliatore dei santi, Slavo e profeta-
Abbi pietà – io canto come un pubblicano ispirato-
Esalta, anima mia, con il canto e l’umiltà
Il Tuo Signore, con l’inno: Santo, Santo, Santo..

Libro Slavo di nostalgie! Echeggia sui confini
Come gli squilli degli ottoni nei cori di resurrezione,
come vergine canto sacro, con una poesia reverente
e con l’inno dell’Uomo – Magnificat di Dio

[ Cracovia 1939, primavera – estate. “ Karol Wojtyla, tutte le opere letterarie” – Bompiani-collana “ Il pensiero occidentale”]