Un Papa “carmelitano”
Nel 2011, in
occasione della beatificazione del Papa, abbiamo avuto l’occasione di vedere lo
scapolare indossato da Giovanni Paolo II, in pratica, fino alla fine come
dimostrato da alcune fotografie. Egli
stesso, nel 1996, così confidò: “Lo
ricevetti, credo all’età di dieci anni, e lo porto tuttora” [cfr. Dono e
mistero]. E’ inutile dire l’immensa emozione
suscitata alla vista di quei due
semplicissimi pezzetti di feltro, per altro consunti dall’uso. Ma quei due
pezzetti di stoffa, logori e sbiaditi, hanno un valore incommensurabile: sono
una sorta di “ testamento spirituale” donato a noi tutti, perché possiamo
veramente divenire “ cristiani adulti”.
Questa può apparire un’affermazione paradossale: come è possibile che un segno
della devozione popolare, per di più desueto, possa rivelarsi un potente
strumento per il nostro cammino spirituale, morale e intellettuale?
Il Papa, in
realtà, era ben conscio del valore dello scapolare che rappresenta uno dei
segni più tangibili della spiritualità carmelitana. Del resto, se è vero che
Karol Wojtyla si vide negare dal suo Vescovo il permesso di entrare nel
convento dei Carmelitani, è altrettanto evidente che Giovanni Paolo II sia
stato per tuta la sua vita un “ Carmelitano”: il suo cuore, la sua anima, la sua mente hanno
respirato all’unisono con la grande “scuola” spirituale a cui erano legate
figure quali S. Teresa del Bambino Gesù e S. Giovanni della Croce, due Grandi mistici, modello sublime di
santità.
Indossare
lo scapolare, per Giovanni Paolo II,
significava “ mettersi in Dio” attraverso una comunione e una
familiarità totali e indissolubili con Maria, la Madre di Gesù. Farsi “ tutto di Maria” ,“ indossandone
l’abito”, implicava per lui una
partecipazione reale al rapporto di figliolanza con Colei che ha portato nel
suo grembo Dio incarnato, quel Dio da Lei contemplato e ascoltato in modo
incomparabile con una qualsiasi sapienza o saggezza umana.
“ Ma io sapevo”, così, rivolgendosi a
Gesù, si esprime Maria mentre ricorda i giorni trascorsi a Nazareth, tempo in
cui parole come “ Mamma, mamma”[da K.
Wojtyla, Primo istante del corpo adorato] risuonavano per le viuzze del
villaggio avvolto dal silenzio mentre, lei ricorda, “la Tua vita si confuse con la vita dei poveri/ a cui volesti
appartenere nella fatica quotidiana delle braccia”[ K. Wojtyla, Stupore
davanti all’Unigenito]
Scapolare del Beato Giovanni Paolo II |
Che cosa sapeva la Madre? Ella sapeva che
quella quotidianità in cui era immersa la vita sua e di suo Figlio, quei giorni
così ordinari e straordinari al tempo stesso, contenevano la Luce; quella Luce, ancora celata all’umanità, ma presente, era Colui che, “frutto della sua carne” [ ibidem] , Ella
aveva nutrito con il suo sangue: Sei Tu, dice infatti la Madre. Ella sapeva che tutto proviene dal Figlio,
tutto da Lui dipende: nella sua straordinaria semplicità, Maria aveva compreso
l’Essenza della Verità, anzi era incessantemente e totalmente in rapporto con
Essa e da Essa penetrata al punto da poter dire, parlando al Figlio: pure
fosti più mio in quel bagliore, in quel silenzio/ che come frutto della mia
carne e del mio sangue [ibidem].
Un’intimità che non ha eguali, un’appartenenza unica e, in un certo senso,
insondabile. Maria contempla il Figlio come Mistero, come il Dono affidatole da
Dio stesso, non come proprietà della sua carne e del suo sangue: c’è tutto
il “Sì” di Lei nella libertà
dell’accoglienza, del dono di sé per ricevere il Dono di un Altro.
L’uomo,con le
sole sue forze, non può giungere alla
conoscenza di Dio; può, al massimo, coglierne alcuni contenuti in virtù
delle sue facoltà intellettive, grazie alle quali è possibile svolgere
importanti esegesi bibliche e filosofiche. Ma, pur con tutta la volontà e l’acume,
non è in grado di entrare nella dimensione di Dio. L’uomo, da solo, non può
nulla: Maria è Colei che “guida tutti
alla perfetta conoscenza ed imitazione di
Cristo”, è Colei che rende possibile l’impossibile: fa’ sì che l’uomo si
possa “ rivestire interiormente di Gesù
Cristo e manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta
l’umanità” [ 25 Marzo 2001].
Il vivere con
Maria, mediante la preghiera e la contemplazione, realizza quella che il Papa
definì “ alleanza e comunione reciproca
tra Maria e i fedeli”, quella “ consegna
che Gesù, sulla croce, fece a Giovanni, e in lui a tutti noi, della madre sua e
quell’affidamento dell’apostolo prediletto di noi a lei, costituita nostra
madre spirituale”. [ ibidem].
Lo scapolare,
quindi, lungi dall’essere un mero oggetto obsoleto di un archeologia
devozionale, è il segno più eloquente, più incisivo della presenza di Dio, un
Dio che plasma, eleva, umanizza la vita dell’uomo su questa terra. Si potrebbe
dire che “ Dio non morirà” fino a quando ci saranno uomini e donne tese a
salire lungo sul “ monte Carmelo” per contemplare Maria, per unirsi al Lei in un” Totus Tuus” filiale.
E il beato Giovanni Paolo II, proprio come i grandi mistici, è vissuto del “
Carmelo” irradiando la bellezza di Dio in ogni angolo della terra. Il Papa
Beato, solo in forza di questo suo affidamento alla Madre di Gesù, tenero e
vertiginoso come un abisso, ha camminato lungo i sentieri del mondo e dentro la
concretezza della storia.
Lo scapolare che Egli ha
indossato fino alla fine e che, stando alle testimonianze, indossava il giorno
dell’attentato, continua a “parlare” all’umanità di oggi indicando l’unica
strada attraverso la quale l’uomo del XXI può incontrare Cristo: Maria, Sua
Madre, il suo “ fiat”, il “suo vivere del Figlio”. In tal senso,i due pezzetti di
stoffa, sbiaditi e consunti, si rivelano lascito teologico di eccezionale
portata catechetica per la Chiesa impegnata nella Nuova Evangelizzazione
profeticamente intrapresa dal grande Papa