domenica 15 luglio 2012


Un Papa “carmelitano”

Nel 2011, in occasione della beatificazione del Papa, abbiamo avuto l’occasione di vedere lo scapolare indossato da Giovanni Paolo II, in pratica, fino alla fine come dimostrato da alcune fotografie.  Egli stesso, nel 1996, così confidò: “Lo ricevetti, credo all’età di dieci anni, e lo porto tuttora” [cfr. Dono e mistero]. E’ inutile dire  l’immensa emozione suscitata  alla vista di quei due semplicissimi pezzetti di feltro, per altro consunti dall’uso. Ma quei due pezzetti di stoffa, logori e sbiaditi, hanno un valore incommensurabile: sono una sorta di “ testamento spirituale” donato a noi tutti, perché possiamo veramente  divenire “ cristiani adulti”. Questa può apparire un’affermazione paradossale: come è possibile che un segno della devozione popolare, per di più desueto, possa rivelarsi un potente strumento per il nostro cammino spirituale, morale e intellettuale?
Il Papa, in realtà, era ben conscio del valore dello scapolare che rappresenta uno dei segni più tangibili della spiritualità carmelitana. Del resto, se è vero che Karol Wojtyla si vide negare dal suo Vescovo il permesso di entrare nel convento dei Carmelitani, è altrettanto evidente che Giovanni Paolo II sia stato per tuta la sua vita un “ Carmelitano”:  il suo cuore, la sua anima, la sua mente hanno respirato all’unisono con la grande “scuola” spirituale a cui erano legate figure quali S. Teresa del Bambino Gesù e S. Giovanni della Croce,  due Grandi mistici, modello sublime di santità.

Indossare lo  scapolare, per Giovanni Paolo II, significava “ mettersi  in  Dio” attraverso una comunione e una familiarità totali e indissolubili con Maria, la Madre di Gesù.  Farsi “ tutto di Maria” ,“ indossandone l’abito”, implicava per lui  una partecipazione reale al rapporto di figliolanza con Colei che ha portato nel suo grembo Dio incarnato, quel Dio da Lei contemplato e ascoltato in modo incomparabile con una qualsiasi sapienza o saggezza umana.
Ma io sapevo”, così, rivolgendosi a Gesù, si esprime Maria mentre ricorda i giorni trascorsi a Nazareth, tempo in cui parole come “ Mamma, mamma”[da K. Wojtyla,  Primo istante del corpo adorato] risuonavano per le viuzze del villaggio avvolto dal silenzio mentre, lei ricorda, “la Tua vita si confuse con la vita dei poveri/ a cui volesti appartenere nella fatica quotidiana delle braccia”[ K. Wojtyla, Stupore davanti all’Unigenito]
Scapolare del Beato Giovanni Paolo II
 Che cosa sapeva la Madre? Ella sapeva che quella quotidianità in cui era immersa la vita sua e di suo Figlio, quei giorni così ordinari e straordinari al tempo stesso, contenevano la Luce;  quella Luce, ancora celata all’umanità,  ma presente, era Colui che, “frutto della sua carne” [ ibidem] , Ella aveva nutrito con il suo sangue: Sei Tu, dice infatti la Madre.  Ella sapeva che tutto proviene dal Figlio, tutto da Lui dipende: nella sua straordinaria semplicità, Maria aveva compreso l’Essenza della Verità, anzi era incessantemente e totalmente in rapporto con Essa e da Essa penetrata al punto da poter dire, parlando al Figlio: pure fosti più mio in quel bagliore, in quel silenzio/ che come frutto della mia carne e del mio sangue [ibidem]. Un’intimità che non ha eguali, un’appartenenza unica e, in un certo senso, insondabile. Maria contempla il Figlio come Mistero, come il Dono affidatole da Dio stesso, non come proprietà della sua carne e del suo sangue: c’è tutto il  “Sì” di Lei nella libertà dell’accoglienza, del dono di sé per ricevere il Dono di un Altro.

L’uomo,con le sole sue forze, non può giungere alla  conoscenza di Dio; può, al massimo, coglierne alcuni contenuti in virtù delle sue facoltà intellettive, grazie alle quali è possibile svolgere importanti esegesi bibliche e filosofiche. Ma, pur con tutta la volontà e l’acume, non è in grado di entrare nella dimensione di Dio. L’uomo, da solo, non può nulla: Maria è Colei che “guida tutti alla perfetta conoscenza ed imitazione  di Cristo”, è Colei che rende possibile l’impossibile: fa’ sì che l’uomo si possa “ rivestire interiormente di Gesù Cristo e manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità” [ 25 Marzo 2001].
Il vivere con Maria, mediante la preghiera e la contemplazione, realizza quella che il Papa definì “ alleanza e comunione reciproca tra Maria e i fedeli”, quella “ consegna che Gesù, sulla croce, fece a Giovanni, e in lui a tutti noi, della madre sua e quell’affidamento dell’apostolo prediletto di noi a lei, costituita nostra madre spirituale”. [ ibidem].
Lo scapolare, quindi, lungi dall’essere un mero oggetto obsoleto di un archeologia devozionale, è il segno più eloquente, più incisivo della presenza di Dio, un Dio che plasma, eleva, umanizza la vita dell’uomo su questa terra. Si potrebbe dire che “ Dio non morirà” fino a quando ci saranno uomini e donne tese a salire lungo sul “ monte Carmelo” per contemplare Maria,  per unirsi al Lei in un” Totus Tuus” filiale. E il beato Giovanni Paolo II, proprio come i grandi mistici, è vissuto del “ Carmelo” irradiando la bellezza di Dio in ogni angolo della terra. Il Papa Beato, solo in forza di questo suo affidamento alla Madre di Gesù, tenero e vertiginoso come un abisso, ha camminato lungo i sentieri del mondo e dentro la concretezza della storia.
Lo scapolare che Egli ha indossato fino alla fine e che, stando alle testimonianze, indossava il giorno dell’attentato, continua a “parlare” all’umanità di oggi indicando l’unica strada attraverso la quale l’uomo del XXI può incontrare Cristo: Maria, Sua Madre, il suo “ fiat”, il “suo vivere del Figlio”. In tal senso,i due pezzetti di stoffa, sbiaditi e consunti, si rivelano lascito teologico di eccezionale portata catechetica per la Chiesa impegnata nella Nuova Evangelizzazione profeticamente intrapresa dal grande Papa