venerdì 13 aprile 2012


Il buio e la Bellezza

“Bisogna rilevare quel torrente che trascina la nostra gioventù, ma che non si è potuta manifestare fino ad ora. Quel torrente ha una fonte comune, sta in noi: l’Amore profondo, la Libertà slava e non il desiderio ma la brama della Bellezza. L’arte non sia soltanto verità realistica, o solo gioco ma sia soprattutto un’elevazione architettonica, sia uno sguardo in avanti e in alto, sia la guida verso Dio, abbia la dimensione dell’arcobaleno romantico: dalla terra e dal cuore umano fino all’Infinito…Io non sono il cavaliere della spada, ma come artista vorrei costruire il Suo (della Patria) teatro e la poesia, anche semipagato, con l’entusiasmo e l’estasi, con tutta la mia anima slava, con tutto il mio zelo e l’amore, con le maniche rimboccate..Che ci sia entusiasmo, che ci siano i giovani e i santi, di Cristo e di Francesco”
Queste parole  sono state scritte da Karol Wojtyla due mesi dopo l’invasione della Polonia da parte dei Tedeschi. E’ sorprendente constatare come un giovane diciannovenne, pur in un contesto tragico, avesse già chiaro il profondo legame Arte – Patria – Dio. Come era possibile che si parlasse di Bellezza, di Infinito, di Bellezza, di Amore, mentre fuori i soldati occupavano le strade, entravano nelle case, chiudevano scuole, Università e seminari e, nella loro spietata sete di sangue e di morte, imprigionavano torturavano e uccidevano innocenti? Come era possibile, mentre i sogni di molti ragazzi e giovani come Karol Wojtyla, venivano frustrati e d annientati, sostituiti dalla dura lotta per la sopravvivenza?  Se poi leggiamo un altro passo, tratto sempre da una lettera inviata ad un amico, la domanda si fa ancora più cogente: “ Tutto è azione della Grazia, tutto può essere azione della Grazia, bisogna soltanto sapere e soprattutto volere collaborare con essa, come ci insegna la parabola dei talenti. Allora penso che alla Grazia bisogna sapere rispondere con l’Umiltà…”( Cracovia, 1940).
Non siamo certo in grado di rispondere alla domanda, troppo vertiginoso è l’abisso spirituale del giovane Wojtyla, noi possiamo solo registrare i fatti. Dopo il 1 Settembre 1939,a Cracovia, ma non solo, la vita è improvvisamente cambiata, in particolare per gli Ebrei, ma anche per le donne e gli uomini polacchi. Karol Wojtyla, come molti altri giovani, costretto ad abbandonare gli studi, si guadagna, in un cava di marmo ,i pochi soldi necessari per assicurare a suo padre anziano e a se stesso l’essenziale per vivere; lui stesso informa gli amici, rassicurandoli e raccontando la vita fatta anche di “ file per il pane, delle rare spedizioni per lo zucchero e della nera nostalgia per il carbone". E, sempre ai suoi amici, confida le sue incertezze, le sue angosce, i suoi turbamenti.
 Eppure, questo giovane, che nel 1941 rimarrà solo, proprio confrontandosi con la realtà più cruda,scopre, non senza fatica e travaglio, quanto sia ancora più importante tener viva la luce della Speranza proprio  mentre tutto sembra volgere verso un baratro infinito. Non dobbiamo dimenticare che questo stesso giovane, ogni mattina, pregava presso la tomba di S. Faustina, sublime Apostola della Divina Misericordia, “ nutrendosi” non tanto di summae teologiche, quanto della fonte inesauribile della Grazia.
Forse noi non riusciamo a comprendere, ma quello che possiamo giudicare un“ mieloso sentimentalismo”, è in realtà l’essenza stessa del senso dell’uomo e della storia.
La Patria forgia e realizza l’identità della persona e, per Karol Wojtyla, questa identità coincide totalmente con la presenza dell’Amore di Dio (la Grazia) che abbraccia tutta l’esistenza della Nazione. E l’arte ( Bellezza), così, diventa non solo l’espressione capace di incarnare i valori profondi di questa Nazione, ma anche la via attraverso la quale l’uomo può tendere verso l’Infinito. Allora ha senso diventare “ cavaliere” per difendere  la Patria ferita, la libertà vilipesa e osteggiata.  Allora ha senso affermare che “ La libertà, la paghi con tutto te stesso – perciò chiamerai libertà quella che, mentre la paghi, ti aiuta a possedere te stesso sempre di nuovo ( da “ Pensando Patria 1974), ha senso perchè, sempre come scriveva Karol Wojtyla nell'Ottobre '39, " la nostra liberazione dovrebbe essere la porta di Cristo"