venerdì 6 aprile 2012


Venerdì Santo

In questo Venerdì Santo, è inutile negarlo, la memoria ritorna alle impressionanti e sconvolgenti Viae Crucis del beato Giovanni Paolo II. In questo giorno così importante, desideriamo però affidarci ai versi di Karol Wojtyla che ha dedicato alla figura della Veronica e del Cireneo versi veramente intensi. Non potendo pubblicare interamente i testi, ne offriamo un semplice commento, certo inadeguato ed incompleto. Ne consigliamo comunque la lettura.

Il nome della donna, prima, non esisteva; ci fu un momento preciso in cui questo nacque ed insieme a esso anche lei, la donna che a fatica si apriva un varco. Voleva vedere, spinta chissà da quale impulso, come ci suggerisce il poeta insistendo sui tentativi da lei intrapresi con tanta tenacia:: aprivi un varco…apristi un varco..
Il poeta, come in altri casi, instaura un possibile dialogo di notevole profondità e coinvolgimento, come si evince dalla domanda: o te lo aprivi dall’inizio?, come dire: Veronica cercava un varco, cercava la pienezza, cercava la sua umanità, e questo da sempre. Veronica è l’”uomo” che vive alla ricerca di una risposta definitiva e vera, che spera nella “ smagliatura nella rete” attraverso cui poter sperare che ciò in cui tutto consiste non è il “ male di vivere”, ma un Volto, il Volto che Veronica vuole vedere. La domanda circa il tempo in cui è iniziata la ricerca, rimane irrisolta, ma in realtà l’assenza di una risposta esplicita indica un tempo illimitato, indicibile, indefinibile, misterioso, forse per la stessa donna. Oppure indica un “ da sempre”, da quando l’uomo si affaccia sulla terra chiamato alla propria vocazione che coincide con la ricerca del “ varco” da attraversare, Varco che si lascia attraversare.
Ma ecco, la donna ha acquisito il suo nome, nacque il suo nome e rinacque lei stessa proprio  quando il cuore/divenne l’effige: effige di verità, cioè quando il suo cuore ha incontrato il Volto di Cristo, quel Volto che si è fissato definitivamente in lei, quel Volto, unica Verità, centro del “ cosmo e della storia”. Il lenzuolo ha un suo valore solo perché è divenuto anche il Cuore dell’uomo, il Cuore della donna che si è aperta il varco: nacque il tuo nome da ciò che fissavi.
Il poeta “scava” dentro il cuore della Veronica, ponendo l’accento su tre aspetti: la vista, l’udito, la conoscenza, vedere, sentire, sapere. L’ordine sottolinea la dinamica fondamentale dell’incontro, un incontro reale, fisico dove i sensi sono misteriosamente coinvolti. C’è nella protagonista l’ardore di fare esperienza di ciò che è al di là del varco aperto da lei stessa; ma che cosa desidera vedere, sentire? Il “Suo” sguardo, non le “Sue” parole vuole “sentire”, ma il “Suo” sguardo. Non  è sufficiente “ vedere” ; è necessario che quello sguardo si imprima nell’”io” più profondo, è necessario che l’effige sia nel cuore. perché  veramente accada qualcosa di nuovo capace di mutare l’esistenza.
Tutto si chiarisce: la visione di Veronica, come la visione di ogni uomo non può fermarsi ad un piano esteriore; deve investire tutta l’interiorità dell’io, per cui l’animo diventa il luogo in cui il desiderio dell’uomo si incontra con lo sguardo di Dio.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Continua la rievocazione della Veronica, sempre all’interno di un dialogo che infrange passato e presente. Qui è la donna che parla e “ grida” il suo desiderio di totale unità con Lui. “ Voglio”, una volontà che non ammette repliche! Lei vuole essere vicina e, quasi per accentuare, ripete “ così vicino”. Dove c’è il vuoto c’è distacco; e il distacco è di fatto assenza. Si comprende quindi ciò a cui aspira la Veronica e, meglio, si comprende la sua posizione interiore: la presenza di Lui avviene nella negazione di me stessa, bisogna fargli spazio, bisogna correre ad aprirsi un varco, ma nel buio della vicinanza, espressione poetica con la quale il Poeta chiarisce che tanto più nell’uomo si realizza l’”oscurità”, tanto più la luce può penetrare, tanto più, appunto, il varco si apre. Indubbiamente anche in questa poesia si legge il grande insegnamento mistico di S. Giovanni della Croce vissuto in profondità dallo stesso Poeta.
Veronica è colei che non è stata da nessuno fermata, come ci ricorda il Poeta Karol Wojtyla che la “ vede vicina alla meta: Sei vicina. Lei ha visto ed ha impresso sul suo panno il Volto, quel Volto che abbraccia, assimila, caricandola su di sé, l’intera umanità: grido dei cuori, appunto il grido di un uomo ferito che ora, attraverso la Veronica, ha trovato il senso ultimo, ha trovato l’approdo. Allora Veronica è icona dell’intera umanità perché “ icona di Cristo” in cui l’uomo ritrova se stesso, è icona che cammina parallelamente, quindi insieme, in compagnia di Colui che, con raro vigore realistico, viene definito il Condannato. Allora tutti gli uomini, i “ condannati”, non sono più soli perché camminano con il Condannato, Colui che ha accettato di essere negletto, respinto, dilaniato per amore dell’umanità che, pure, lo ha negletto, respinto e dilaniato….Ora sembra dominare la solitudine: Lui è morto, ma è rimasto il segno del contatto; lei ora si sente protetta, ha trovato un rifugio, un luogo capace di difenderla da se stessa, da una forma di vita che non le appartiene più. La donna trova un riparo da una frattura che si è creata in lei e che ha inghiottito ciò che prima la definiva. Veronica appare allora completamente “ nuda” a se stessa nel deserto della sua anima, ma trova un luogo che la ripari e questo luogo è quel panno, ovvero quel Volto.
Quando si è vicini a qualcuno che ha plasmato la nostra vita, la nostra esistenza, tutto sembra possibile, tutto sembra più facile. Ciò che siamo è determinato da colui che è accanto a noi; quando quella persona, così importante per la nostra vita, “parte”, ecco la nostalgia che il Poeta, con estrema e lucida sintesi, definisce fame di vicinanza. E’ necessaria una nuova “vicinanza”, non basta più neppur il panno, forse. Ecco, Lui  Risorto, ha compiuto ciò che appare folle alla mente umana, ma Lui continua a farsi vicino all’Umanità Redenta, LUI E’ PRESENTE. Non è fisicamente tra noi, non è tra noi secondo i criteri puramente umani, ma viviamo della sua continua vicinanza. La Redenzione è quindi il trionfo della Vita che vince la morte, è la ricomposizione di una “ vicinanza” tra Dio e l’uomo, ma ora riscattata e resa libera, proiettata verso la vera e finale speranza. L’uomo, per essere redento, ha avuto bisogno di un Altro, della vicinanza di un Altro che gli rivelasse il suo destino, la sua consistenza per cui un Dio muore e, pure morendo, gli rimane accanto.
Karol Wojtyla vuole però anche soffermarsi sul momento del distacco vissuto dalla Veronica: Lui non c’è più, il suo sguardo impresso sul Volto non può raggiungere  l’umano di lei, l’umano di ogni esistenza. Eppure l’uomo, come Veronica, ha bisogno di incrociare il suo Volto per non sperimentare quella che viene definita l’inquietudine della forma, assenza appunto di ciò a cui si anela guadare. Si potrebbe pensare ad un certo smarrimento, alla disgregazione che si verifica nell’”io” quando viene a mancare il volto di chi abbiamo amato. Come è accaduto il 2 Aprile 2005: abbiamo cercato il suo volto nelle mille immagini riprodotte, nelle mille fotografie diffuse!
Ma il distacco diventa Vicinanza, ci suggerisce il poeta: Lei, come ogni uomo, consapevole della propria incompletezza (forma inquieta),  cerca sempre la pace. Con chiarezza sa che il distacco non è sinonimo di abbandono, di un passato che non ritorna, archiviato per sempre. La donna si sente ancora attraversata, eppure mi attraversi; Dio penetra in lei, entra a far parte di lei, pur lontano in una dimensione che non ha paragoni con l’esperienza umana. Certo, il panno permette questo “ attraversamento”, questo “ raggiungimento”, ma un panno sul quale è stato impresso non un volto come tanti, ma il Volto di Colui che salva l’uomo amandolo. Dio, fattosi uomo, incontra l’uomo al punto da lasciare di sé un segno, un segno visibile, toccabile. L’ultima parola è appunto pace che coincide con l’ Unità dell’esistenza. Privata del Volto, la forma dell’uomo è, appunto, informe, mentre, nell’incontro con Lui, tutto si ricompone, il “tu” acquista una sua armonia, l’uomo non è più un ‘”io” frantumato e solo. La pace, quindi, come ha spesso detto e gridato Giovanni Paolo, ha un nome: Gesù Cristo.